... non scherzo mica io, che titolo gigantesco!
Dopo aver letto the Joy of Less di Pico Ayer, o quello precedente sul Dalai Lama che dichiara " "Dream nothing" capisco finalmente tutta la strada che ho fatto per arrivare a capire quello che ho capito fino ad ora. Curioso che esista un Blog sul New York Times dedicato alla Felicità: a cosa sia o come la si ottenga ( ma non è una ricetta facile) e leggendo i due articoli ho trovato sulla mappa della mia vita il puntino rosso che dice : VOI SIETE QUI.
Ho così constatato che ne ho fatto di percorso, ora capisco quello che non capivo prima, ed è per questo, semplicemente questo che l'invecchiare non mi pesa, per ora ;-)
Nell'articolo sul Dalai Lama si distingue fra la non felicità e il dolore:
"Happiness is not pleasure, they (the Buddhists) know, and unhappiness, as the Buddhists say, is not the same as suffering. Suffering — in the sense of old age, sickness and death — is the law of life; unhappiness is just the position we choose — or can not choose — to bring to it.
La non felicità quindi non è la stessa cosa che la sofferenza -che è vecchiaia, malattia e morte - è legge di vita. E' molto diversa dalla non felicità (non infelicità che nella nostra lingua ha una sfumatura diversa) che giustamente è definita "la posizione che scegliamo di- o scegliamo di non - portare nella nostra vita".
In questa ottica riguardo gli ultimi 15 giorni che sono stati provanti. Mi confronto con quella che avevo paura di essere e quella che sono stata. So di essere cresciuta.
...e scusatemi se descrivo il calvario di mia madre, non è bello ne piacevole ma ho bisogno di metterlo giù, nero su bianco- per la mia memoria, per la mia comprensione.
All'inizio era la morfina: e la paura inconscia e conscia che causavano espressioni di dolore sul suo volto nonostante l'antidolorifico potente; le parole sconnesse, gli incubi e il suo essere in un mondo a sé dove a noi non è permesso di entrare ne lei di uscire: poi nausea che visibilmente monta ad ondate e la sua espressione id angoscia e impotenza per la bile che nonostante il tubo nel naso fuoriesce dalla bocca e non sai come assorbirlo prima che lezzi ogni cosa nel letto.
E l'odore di tutto quello che fuoriesce da ogni parte, impestando la stanza senza vergogna, perchè che vergogna puoi provare per chi è così indifeso dalle infamie del corpo.
E le vene non reggono gli aghi e gli aghi non trovano le vene ma continuano imperterriti a bucare disperatamente in cerca di sangue che fuoriesce in ematomi ovunque si sia cercata una vena; gomiti, polsi, dorsi delle mani coperti di lividi rossi e poi neri poi gialli fino a sembrare verde fluorescente e le mani si gonfiano e non si chiudono più.
E ogni volta che l'infermiera viene per bucarla lei si angoscia e freme e prova più dolore per le iniezioni che per il taglio di 30 cm che ha sotto il costato.
E viene tolta la morfina ed ecco che il corpo si risveglia e si agita non trovando la posizione, non potendo girarsi su un fianco o sull'altro perché ci sono tubi dappertutto ed' è un letto di chiodi e di spine quello su cui giacciono i malati, è una croce su cui sono crocifissi con gli aghi delle siringhe, legati con i tubi dei cateteri, delle trasfusioni di plasma, sangue e antibiotici, con le maschere di ossigeno che ribolle nelle ampolle attaccate ai comodini, gli elastici che premono le mascherine nel volto, una piccola infamia in più quella del letto è una agonia stupida in confronto al capitolo precedente (dove ha vomitato tanto sangue da dover cambiare 3 lenzuoli e richiedere trasfusioni, ma c'era mia sorella allora) ma sempre agonia è e non trova pace né riposo e la mente ora la tortura riproponendo frammenti di lucidità dei giorni passati e domanda di sapere cosa è successo? quale parte è realtà e qual'è incubo e ti prego, dimmi che è tutto finalmente finito ... ma il tempo non finisce mai e passa lento e inesorabile.
Poi la spossatezza, la fatica a respirare, i dottori che temono per il cuore, la paura per gli aghi che tornano a martoriarla mentre il corpo è preso da tremori violenti e lei si guarda sconvolta e spaventata in balia di forze che non comprende e la sua dichiarazione di amore e di ringraziamento che paiono essere un addio, una spugna gettata, la fine e ti fanno uscire dalla stanza e poi ti richiamano chiedendoti di aiutare mettendoti un guanto usa e getta e ti dicono: prema lì dove sente battere, e tu premi l'inguine di tua madre dove senti battere il cuore nella vena da cui hanno fatto il prelievo.
E non puoi lasciarti andare perché sei la sua ancora e la tua serenità l'aiuta a ritrovare la sua, a calmarsi e finalmente arriva la febbre e passa il tremore e non c'è niente al cuore solo ansia, caldo e spossatezza.
Come lenire il dolore, la sofferenza se non essendo lì, presente e vuota di desideri e pensieri tuoi, solo pronta ad adempiere al tuo compito e versarle nelle labbra aride un tappino d'acqua ogni tanto, a carezzare le mani e i piedi per darle una goccia di piacere in tanta miseria, a bagnarle la fronte e lavarle le mani e il viso con il cencino strizzato, come ti faceva lei quando eri malata da bambina e sei grata dell'opportunità di poter ricambiare.
E la vedi attaccata alla vita come una bestiolina, e nell'ansia di morire chiede, cosa inusuale,chiede a te e chiede alle infermiere, si preoccupa di ricordare cosa le devono fare, i medicinali, le procedure igieniche, che il medico la rimbrotta che è tutto scritto nella cartella clinica e che il loro lavoro lo sanno fare da soli...
E la vedi debole e sconfitta, finalmente vecchia, che getta la spugna accettando che non ce la fa da sola, che deve chiederti di accompagnarla al bagno e di aiutarla a spogliarsi e tu riesci a farlo facendolo sembrare come se l'avessi fatto centinaia di volte così che lei non si dispiaccia per avertelo chiesto.
Ed effettivamente non ti dà fastidio, non ti dispiace accudirla come un bambino, ti pare normale, logico, inevitabile.
E questo vi lega come nient'altro prima, sai anche che questo ricordo sarà fra i più dolci che hai di lei, così impenetrabile e indipendente, questa sfinge di madre che non capisci cosa nasconda dentro e che scopri ora essere più fragile di quanto tu pensassi.
giovedì 23 luglio 2009
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3 commenti:
Mi hai fatto piangere: d'invidia.
Perdonami la parola inopportuna, ma credo che tu sappia cosa intendo.
love
baby baby baby, no non so cosa intendi ma grazie. Fare piangere qualcuno non dovrebbe dare soddisfazione a nessuno - e a me non la da - ma se è un atto dovuto ad ammirazione o alla riuscita di un qualcosa che hai fatto che provoca emozioni profonde, beh è il più bel complimento che uno può fare. Seppoi invece si tratta di invidia per la mia esperienza, beh è meglio che vieni via dal sole... ;-)
"lascia un tuo commento", sembra così freddo distante asettico rispetto a quello che scrivi.
Smuove ricordi di cose vissute (per me)e smuove sentimenti così intimi e profondi per chi non ha vissuto.
Un giorno scopri e impari, sei costretto a imparare, che la vita è anche altro, anche dolore, anche vergogna, anche intimità violata, anche arrendersi e rassegnarsi alla bruttura.
Poi, dopo, ti accorgi di essere cresciuto e di essere, in qualche modo, più ricco.
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