giovedì 3 gennaio 2013

YOU ARE WHAT YOU FEAR

 
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la prima paura che ricordo fu il suggerimento del dentista che suggerì ai miei parenti che più avanti nel tempo avrei potuto fare "un'operazioncina" per rimuovere il diastema fra i due incisivi ed avere un sorriso Colgate. Per anni questa spada di Damocle mi ha dato ansia ogni volta che ci pensavo, fino a che sono cresciuta abbastanza da scoprire che potevo decidere di non farla. Stessa cosa per le tonsille, che i medici continuavano a suggerire venissero rimosse per evitare le ricorrenti infezioni, ai tempi in cui si levava ogni cosa che non fosse vitale.

Ma a 26 anni non mi pare di aver avuto grandi timori (li ho efficacemente rimossi o mascherati in problematiche affettive) prima di trasferirmi a San Francisco con solo biglietto di andata, iniziando un esistenza sul filo e senza "rete" (non ci andai per lavoro o per studio, ma per cambiare il vicolo cieco di una vita borghese che trovavo insopportabile) laddove scopersi di poter diventare e fare chi e ciò che volessi.

Nè mi ha dato problemi, disoccupata e in Italia 13 anni dopo, partire per l'Asia con un preavviso di 8 ore, sostituendo un'amica che aveva scoperto di aver perso il passaporto il giorno prima del volo. Il dover lavorare in un settore in cui non avevo la minima esperienza, l'essere in posti e con persone che non conoscevo erano cose che non mi davano nessun problema, anzi.

Ricordavo stamani invece di aver temuto di dover guidare una macchina con il cambio al volante. Al tempo le macchine dei miei amici erano in maggior parte Francesi e quindi avevano quel cambio che era un ostacolo per me insuperabile. Purtroppo non ce ce sono più tante di macchine con quel cambio e questa rimane una sfida da battere.

Non ricordo ansia particolare quando, lavorando il turno di notte a SF, dovevo attraversare a piedi una zona malfamata frequentata da drogati e spacciatori per arrivare alla fermata dell'autobus. Aspettavo il bus sul marciapiede di mezzeria, ben illuminata dai fari delle macchine che passavano tutto intorno e dalle luci intermittenti delle insegne che pubblicizzavano ragazze nude e alcool a buon mercato, come un dolce nella bacheca che rotea sul bancone di pasticceria. 
E quando una notte ho sentito che qualcuno mi stava seguendo mentre attraversavo il parco, non sono stata presa da panico irrazionale, non mi ha sopraffatto l'istinto di fuga, ma soppesando il da fare ho preferito voltarmi per far fronte al pericolo, perchè a mio avviso è ben peggiore ciò che si inventa la mente di quello che ci si può trovare ad affrontare nella realtà. 

Non ho temuto il volontariato con i malati di AIDS che a SF erano principalmente gay, salvo per la possibilità di sembrare ingenua nei riguardi del loro mondo. Nè di dare rifugio e conforto a un ragazzino appena conosciuto in treno che era scappato di casa quel giorno. Ho temuto andare nel deserto da sola, ben conscia che è un ambiente a me alieno, ma l'ho fatto lo stesso. Non ho avuto paura durante il grosso terremoto di SF nel '89 ma me la sono fatta sotto le scosse che ho percepito da allora, sia in California che tornata in Italia. Non temevo il crimine di Oakland lasciando le due porte che davano sul giardino sempre aperte, nonostante che tutte le finestre avessero sbarre e non ci fossero barriere dalla strada al giardino. Da che sono piccola temo gli incendi sulle colline, quei punti rossi che si vedevano di notte dal Conventino delle Suore dove passavo parte dell'estate, che ci raggiungessero mentre dormivamo. Non ho temuto la solitudine e il buio totale nella scala a chiocciola di una torre medioevale, anzi ne ho goduto come esperienza di come possa essere l'assenza di materia. Ho temuto lo squallore di una vita mal vissuta; di farmi vincere dalla banalità; di diventare morta dentro come tanti; del cinismo e della rinuncia a fare ciò che ci ispira. Ho ancora paura di aver paura di vivere.

I timori che ho oggi sono principalmente connessi con dottori e ospedali; sono la possibilità di perdita di controllo del mio corpo e della sua privacy. Le farfalle nello stomaco compaiono se devo andare a fare la pulizia dei denti, o una visita medica "invadente". Non temo la morte ma temo il lungo protrarsi della malattia e il dolore, la menomazione, la perdita delle qualità essenziali della mia vita, o di quella che considero la mia essenza. Questo nonostante sappia, intimamente -e che continui a sforzarmi di ben accogliere spiritualmente dovesse accadermi il peggio- che sono quelle sfide le più grosse occasioni di crescita e di profondo cambiamento che la vita può offrire. 

Non so perchè si ha paura di una cosa e non di un'altra. Cosa detti queste paure. La paura è un'istinto di sopravvivenza, necessario e primordiale, e non sono sicura se istintivamente, come per tante cose, preferisca metterla nel dimenticatoio insieme a quelle cose che non servono alla sopravvivenza di ogni giorno come la nostalgia dei propri cari quando hai scelto di lasciarli o la paura della morte e di invecchiare quando sai che non le si possono evitare.

Mi domando se nel vivere razionalmente e fatalisticamente si è vivi davvero.