domenica 31 luglio 2011

COCCHI REALI - part II


 (Racconto a 3 mani e un editor)

Gunter Viligelmo Ugo, barone di Betternich, Il promesso sposo del Principe.
Deborah Cherie Cucurbita La nota giornalista di costume
WP /Wedding Planner
Cosimo (detto Walallha) Assistente dell’assistente della WP
Luigia, La Regina matrigna
Il Generale Sfikilievich

Gunter Viligelmo Ugo, barone di Betternich, si godeva il suo più che meritato riposo, dopo un'intera giornata di ricerche, prenotazioni e pratiche: è vero, mancava ancora un mese; vero, si trattava degli ultimi ritocchi; però la felicità, l'emozione, l'ansia che inevitabilmente l'evento portava con sé erano talmente forti che egli non riusciva a star fermo un attimo, doveva, voleva avere tutto sotto controllo, assicurarsi che tutto andasse per il verso giusto. Un avvenimento tanto desiderato, questo matrimonio, per troppo tempo atteso, il coronamento del proprio - del loro - sogno, non poteva presentare alcun difetto.
Questi erano i pensieri che riempivano e al tempo stesso carezzavano la mente e il cuore di Gunter. E ora, dopo una giornata tanto frenetica, con un sorriso paradisiaco stampato sul suo volto, prese dalla mensola la cornice fucsia e oro che sigillava il loro amore : lui e Ghirigò (questo il nome in codice che, insieme, avevano stabilito per il principe, nei loro momenti di appassionata intimità.
Quante volte avevano scherzato - e che risate - sul fatto che proprio per un pelino la loro sigla da coppia, G&G, non somigliasse a quella del loro adorato duo-fashion, D& G!), ritratti nel più bel bacio che due innamorati possano darsi.
Gunter da tempo ormai aveva imparato a non dare più ascolto ai gossip che circolavano sul loro conto; e non poche sventure avevano dovuto affrontare insieme, in questi anni: paparazzi ovunque (Ghirigò, del resto, era uno dei più importanti principi eredi del tempo); rotocalchi che pubblicavano inviperiti articoli secondo cui lui, semplice e piccolo barone di Betternich, si apprestava a sposare il principe Filiberto Filiberto Filiberto per puro, evidente tornaconto; salotti televisivi interamente dedicati all'imminente sposalizio regale; scosciate, patetiche soubrette che ancora si ostinavano a insidiare il più bel principe del pianeta...
"Malelingue, tutte invidiose malelingue" si disse trasognato, passando le dita sulla foto incorniciata, come per rimuovere quei tre granelli di polvere che vi si erano depositati, in realtà benedicendo la loro unione, come se, così facendo, stesse sfiorando il viso dell'amato. Sospirò, beato e stanco.
Ma un pensiero, d'un tratto, rapì e affranse la sua mente; la sua aria sognante svanì in un secco istante:
"Ma come abbiamo potuto dimenticarcene?!" strillò, lasciando cadere la cornice sul divano zebrato e battendosi con un sol colpo di entrambe le mani le guance tirate in un'espressione di terrore,
"Coooome?!? La carrozza!!".

In effetti, solo pochi giorni prima, la nota giornalista di costume Deborah Cherie Cucurbita, in una delle affollatissime e seguitissime puntate pomeridiane del programma cult da lei condotto "Io c'ero e sono qui a raccontarvelo", proprio parlando dell'imminente matrimonio, aveva fatto una carrellata su tutti gli sposalizi più o meno regali e più o meno principeschi degli ultimi tempi, soffermandosi sui dettagli più vistosi e succulenti. Ed ecco quindi zoomate su torte nuziali di proporzioni megagalattiche; strascichi che si dipanavano per metri e metri con stuoli di paggetti e paggette: mises femminili tra le più originali e preziose, e, naturalmente, le carrozze. Aperte, chiuse, a due posti, a quattro posti, a quattro cavalli o a sei, con blasoni o senza. E Deborah Cherie, facendo la boccuccia a cuore e riavviandosi la frangia viola melanzana aveva commentato: "Non possiamo aspettarci niente di meno regale per il matrimonio che tutti noi stiamo aspettando con ansia e curiosità!" Era stata solo un'impressione o così dicendo aveva fatto una specie di occhiolino? Uno sguardo allusivo, dico-non-dico? Deborah Cherie, detta Aspide nei corridoi della televisione per cui lavorava, non diceva mai niente per caso.
Gunter aveva visto la trasmissione distrattamente, o meglio, la tele era accesa ma lui era concentrato su una ricetta dello chef Duchasse che avrebbe voluto imparare. Forse in modo subliminale l'argomento "carrozza" era comunque penetrato nei suoi pensieri e ora emergeva in tutta la sua tragica realtà. 

Gregorio non aveva acceso la TV proprio per perdersi, volutamente, le ultime illazioni sul suo prossimo matrimonio che sapeva, sarebbero inevitabilmente passate tra le notizie del giorno. Stava diventando tutto troppo pesante, e gli era parsa una buona idea scendere in palestra, in cerca di relax, a lavorare con i pesi. Non che ci volesse ripensare, ma la pressione mediatica costruita ad arte sul SUO matrimonio sembrava non aver mai fine. E sì che la WP lo aveva avvertito sin dalla prima riunione tenuta nel di lei ufficio di New York: la stampa non avrebbe fatto sconti alla Regal Coppia: in un periodo di consolidata pace mondiale, in un momento in cui i diritti umani erano garantiti anche nel Burkina Faso, da quando i sistemi di automazione della produzione avevano messo in una posizione di assoluto relax i lavoratori ed i sindacati tutti, e rappacificato le gastriti nervose del mondo industriale con guadagni decuplicati di decennio in decennio, da allora in poi solo il gossip e le sue edizioni straordinarie, tenevano in vita giornali on-line e TV. Quindi, fino a dopo la cerimonia il principe e Gunter sarebbero stati "LA" carne da macello.
Così Gregorio aveva limitato per quanto possibile le uscite: l'ultima volta che stava presenziando all'inaugurazione di una mostra dedicata a "L'arte Sumera Inferiore nei Decenni del Regno Superiore", due madri sconsiderate gli avevano lanciato contro due pargoletti in fasce (di visone), cercando di attribuirgliene la paternità. La qual cosa aveva:
1- fatto accapigliare le due donne che pretendevano di aver avuto il suo amore esclusivo, fino all'intervento della Sicurezza;
2- fatto piegar dal ridere fino alle lacrime Gunter che stava seguendo la cerimonia dal laboratorio di pasticceria della Villa Baronale;
3- fatto irritare irreparabilmente la Perfida Luigia, che aveva organizzato la scenata per screditarlo (-Non si vantava ad ogni piè sospinto di essere gay da sempre? Allora spiegasse l’esistenza delle due creature a due giorni di distanza dal Gay Pride a cui aveva offerto il patrocinio!);
4- rovinato l'abito alla Marchesa Del Miliardo-Bova-Straricchini, che lanciatasi a raccattare i bimbi al volo, dopo un perfetto catch rugbistico era atterrata su un pannolino sporco abbandonato sul pavimento. Bimbi indenni, taffetà maculato marrone, acconciatura posticcia divelta...
Pur non avendo acceso la TV Gregorio sapeva che l'argomento del giorno de: "Io c'ero e ve lo racconto volentieri nei dettagli perché l'ho visto coi miei occhi", trasmissione concorrenziale a quella col titolo più corto di Deborah Cherie, sarebbe stato la carrozza ed il corteo RealQueer. C'era una talpa a Palazzo che la metteva al corrente di tutto quello che capitava tra quelle... quattrocento mura, e il mezzo svenimento mattutino della WP non era passato inosservato.
Uscì dalla PrinceGym dai sotterranei dopo un'ora di lavoro sugli addominali bassi, e ancora sudato ed in pantaloncini in lycra neri andò a bussare alla porta del Salone dei Balli Minori, regno indiscusso della WP. Non ottenendo risposta aprì la porta ed entrò. L'abbigliamento non regale ma palesemente esplicativo delle "dimensioni principesche", fece scivolare dalla sedia su cui era seduto Cosimo, detto Walallha, assistente personale della seconda assistente della WP.
"Accomodatevi Altezza", disse Walallha rialzandosi e raddrizzando gli occhiali di corno nero.
"Buonasera Wal... Cosimo. Cercavo il Capo Supremo".
"Miz WP, "Come Me Nessuno Mai", si trova su di un aereo di Stato con la prima e la seconda assistente personale, destinazione Copenhagen", rispose Walallha facendo scendere gli occhi sul Fornito Pacco Regale in lycra. "Se potessi esserle utile io... Maestà...".
"Copenhagen? Royal Bomboniere?", chiese allora Gregorio che si schiantò a sedere sulla prima sedia girevole che gli capitò a tiro, a gambe provocatoriamente larghe. La predilezione di Cosimo per lui era evidente da quando si erano incontrati nell'ufficio di Manhattan.
"Sì, anzi no, Maesta...", balbetto Walallha.
"Non sono Maestà Cosimo. Walà che lo sai. 'Altezza reale' è sufficiente", disse allungandosi un po' di più sullo schienale.
"Sì, Altezza. No, altezza, no bomboniere, Altezza", sudava freddo Cosimo senza riuscire staccare gli occhi del Regal Pacco.
"Allora perché sono volati fino in Danimarca tutti quanti, eh?", insisteva il Principe più che conscio dell'imbarazzo di Walallha.
"Devono forse scegliere la torta?".
"No, Altezza".
"Vero, quella la farà Gunter con le sue manine. Scelgono i fiori per gli addobbi, allora?".
"No fiori, Altezza", sempre più sudato ed ipnotizzato dal Real Pendolo.
"Allora la birra per il ricevimento?", disse il divertito Greg dandosi una passata velocissima con la mano al manico.
"No, no. No birra, Altezza", Walallha, la salivazione fuori controllo, stava quasi per inginocchiarsi e chiedere pietà all'Altezzza Reale.
"E allora perché cazzo sono volati tutti fin là, eh, Walallha?", chiese il Principe Ereditario con un'ottava sopra l'usuale, chiudendo di scatto le gambe e balzando in piedi.
"Pe... Per la carroscia... Ehm... La Ca-Rro-Zza, Vostra Altezza", provò a rispondere Cosimo facendo uno sforzo di concentrazione fuori dalle sue possibilità neuroniche e riportando gli occhi all'altezza del viso di Greg.
"Perché, la zia Margherita ci presterebbe la sua?".
"E' una possibilità, Altezza. O meglio lo era: appena involati gli altri, mi è arrivato un fax con la descrizione del mezzo in questione, dove si diceva che hanno dovuto aggiungere un meccanismo Ceteco alla vettura, per consentire la salita all'ultra centenaria Regina. Quindi non fa al caso nostro". Disse riuscendo finalmente a riprendere il controllo di sé.
"E perché non le hai fatte tornare indietro?", obiettò il risparmioso Principo ecologo.
"Visto che erano in volo hanno deciso di deviare verso la Svezia a farsi una scorpacciata di aringhe e a bussare alla porta delle Regina Victoria Alice".
"Aringhe? non saranno mica nel menù, vero?", chiese Gregorio preoccupato per l'allergia conclamata a quel pesce dell'amato consorte.
"Aringhe? Mai Altezza, come da contratto stilato a New York", rispose.
"Rientreranno tutti in nottata, Pacchezza... Oddio, perdonate, ALTEZZA REALE!", strillò per coprire la gaffe il segretario.
"Appena rientrano fammi chiamare dal Capo Supremo. Devo capire la faccenda di questa maledetta carrozza".
"Sarà fatto Altezza, e subito dopo dovrò chiamare al telefono il Barone di Betternich che ha chiamato pochi minuti fa per chiedere la stessa cosa", aggiunse con efficienza e uno sguardo languido Cosimo che aveva ripreso a sciogliersi rimirando le Principesche fattezze.
Il telefonino di Gregorio vibrò nella tasca posteriore dei pantaloncini. Nel visore il simbolo di due cuori splendeva di raggi dipinti rossi e gialli. Era il numero di Gunter. Gregorio uscì salutando con la mano, lasciando Cosimo piegato in una riverenza garbata e assolutamente inadatta alla situazione informale dell'ufficio, ma che esprimeva tutta l'ammirazione del sotto-sotto-segretario per il Manzo Regale.
Al telefono Gregorio Tommaso Filippo Filiberto Filiberto Edoardo Emanuelito Alvaro III disse: "Ma siamo sicuri che ci serva una carrozza, amore? Forse ne possiamo fare a meno ed usare..."
"I regali Roller Blade, immagino", si infilò a forza nella conversazione la Perfida Luigia. Gregorio si bloccò non avendola sentita arrivare nel corridoio che percorreva.
"Buonasera matrigna", la salutò lui.
"MA CERTO CHE UNA CARROZZA SERVE, Buon Dio! - esclamò ad alta voce - "E' o non è un matrimonio Reale questo?".
"Matrigna, stavamo solo dicendo che..." Non lo lasciò neppure formulare l'ipotesi articolata di rinuncia che subito riattaccò urlando: "LA CARROZZA LA VOGLIO IO, CAPITO? LA VUOLE LA REGINA, E' CHIARO? NON SIAMO DEI PEZZENTI QUALUNQUE, SIAMO I SO-VRA-NI DI QUESTO REGNO E LA CARROZZA CI DEV'ESSERE, CHIARO?", continuò urlando per la sua strada, scomparendo dietro una porta così com'era arrivata e lasciando Gregorio stupefatto.
"L'hai sentita, la Perfy vero? - chiese al telefono - Ti richiamo tra un po’".

Luigia, detta affettuosamente Perfy da Greg e Gunter, assolutamente consapevole della sparata che aveva fatto, buttò in avanti il mento e se avesse potuto cacciare fumo dalle orecchie lo avrebbe fatto di certo. Quell'insulso, ridicolo, maleducato, irrispettoso, trasandato, poco incline alla regalità di Gregorio aveva il dono di farla imbestialire, di farle perdere il lume della ragione, di provocarle le più basse e imprevedibili azioni. Il Buon Re era stato un inetto, del tutto incapace di tirare su i due figli avuti dalla defunta moglie. Greg e Carmen, erano un campionario dei peggiori comportamenti, abitudini e atteggiamenti che ci si potesse aspettare da figli avuti in sorte...
Ma non era intervenuta lei, come un dono del cielo, prima a farsi sposare e subito dopo a dare alla luce i due principeschi pargoli, i boccoluti puttini, gli adorabili Valdo e Bilirubina? E non era suo compito preciso spazzare via a qualunque costo ogni ostacolo che si fosse frapposto tra i due e il trono? Greg e Carmen dovevano semplicemente farsi in là, sparire, annullarsi, rendersi invisibili, trasformarsi in innocue comparse.
E possibilmente in compagnia di quell'altro nullafacente cafone presuntuoso di Gunter.
Spinse con decisione la porta ed entrò nella sartoria regale dove uno stuolo di sarti e cucitrici si affaccendavano tra enormi tavoli da lavoro e appendiabiti su ruote che venivano spostati continuamente. In piedi su un pouf, davanti a uno specchio, Valdo, braccia incrociate sul petto e faccia imbronciata, avvistò subito la madre.
-Maman maman, basta, uffa, questo vestito mi fa schifo, voglio andare a giocare, e questo mi ha rotto le scatole!
Disse, indicando uno dei reali sarti accucciato accanto al pouf con la bocca chiusa a trattenere una trentina di spilli, e un gessetto tra le mani. Il pover’uomo, visibilmente stressato, non osava proferire parola, anche perché così facendo gli sarebbero caduti dalla bocca tutti gli spilli. Ma il colorito della sua faccia tendeva sempre più al paonazzo.
“Valdo, fai il bravo, sarete i paggetti al matrimonio di Greg, lo sai, e dovrete indossare i vestiti più regali e più preziosi. ….E tua sorella dov'è?”
Valdo non si dette la pena di rispondere, aumentò il broncio e pareva fosse pronto a esplodere. Bilirubina era lì, sotto uno dei tavoli armata di un enorme paio di forbici, e tagliuzzava una trina preziosa facendone coriandoli.
“Tesooooro! Cucciola, vieni da mamma…. e tu l'abito nuovo l'hai già provato?”
Anche Bilirubina non si degnò di rispondere, impegnata com'era nella principesca malefatta. Alchè, Luigia , cambiando tono, si rivolse direttamente a una delle cucitrici:
“Insomma, avete finito i vestiti dei principi? Quante volte dovranno provare? Non vedete che si annoiano le creature?”
“Maestà, ci siamo quasi, mancano pochi dettagli. Il fatto è che non stanno fermi durante la prova...”
Non riuscì a finire
“Fermi? Stare fermi? Siete voi che siete degli incapaci! Incapaci di fare il vostro lavoro! La verità è che se non ci sono io qui, non funziona niente! Questo matrimonio già mi procura..”.
Si fermò in tempo. Avrebbe voluto dire: mi procura fastidi, anzi, mal di pancia, notti insonni, cattiva digestione, flatulenza, bile a livelli di allarme. Ma si trattenne, lasciò la frase smozzicata e, per darsi un contegno, afferrò un cuscino di seta decorato con fettucce e fiori, poggiato sul tavolo.
“E questo? Che sarebbe?”
“Il cuscino per le fedi, Maestà”.

Gregorio richiamò Gunter non appena la folata di aria smossa dal passaggio della Regina si fu placata.
Inutile dire che i due si dettero pace dell'ennesima scenata riservata loro dalla matrigna, sghignazzando alle sue regali spalle. Gunter non si dispensò dall'imitarla come sapeva fare alla perfezione, mentre impartiva ordini alla servitù. La scena in sartoria avrebbe fornito altro materiale ai suoi lazzi, se ne fosse stato partecipe.
Se agli occhi della Regina Gregorio era un ostacolo, Gunter rappresentava la prova che il mondo girava all'arrovescia: non solo Gregorio non ne voleva sapere di soccombere e volatilizzarsi come cenere nel vento, adesso stava diventando un "ingombro con possibilità di felicità coniugale", con possibilità di adottare figli, o farsene scodellarne uno da madre surrogata; dando così al Trono, un erede che avrebbe scavalcato il SUO povero Valdo, di un posto nell'asse ereditario: con un potenziale pupo tra i piedi, per vedere Valdo sovrano, la Regina avrebbe dovuto far fuori tre discendenti invece dei due che già odiava e progettava di sterminare.
Al loro primo incontro la Regina e Gunter, su precise istruzioni di Gregorio, si erano palesemente ignorati, prodigandosi in sorrisi spaziosi, e conversazioni con altri invitati.
Sempre meglio di una guerra dichiarata, consumata e conclusa. Che di certo avrebbe lasciato delle vittime sui tappeti persiani. E tra queste non ci sarebbe stata Lei, sua Maestà la Regina Luigia: non fosse altro che per il rispetto che le era dovuto in quanto Regina, Gunter avrebbe dovuto lasciare l'ultima parola alla matrigna dell'amato e da allora la sua vita sarebbe diventata impossibile.
Gli intenti di Luigia non erano mistero per nessuno. Gunter sapeva dopo quel primo "non scontro" che la sua posizione a Palazzo non sarebbe stata sicura fino a nozze celebrate, cioè fino a che anche lui non fosse diventato, per nomina del BuonRe, Principe della Corona, e con quel titolo avrebbe potuto sedere a fianco dell'amato, vita natural durante.
Fino a quel momento era stato in grado di svicolare da tutte le trappole tesegli della sovrana e ormai mancava solo un mese alla fatidica data. Anzi trenta giorni ad essere esatti.
I due fidanzati si salutarono solo più tardi dopo una buona dose di sesso telefonico, dandosi appuntamento per l’indomani, davanti al fornitore reale di gioielli, per la prova degli anelli nunziali.
Alla prova doveva essere presente anche Carmen, che nella cerimonia rivestiva il ruolo di Compare d'Anello del Principe. Nelle intenzioni pre morfeiane di Gregorio c'era quella di ricordarle l'appuntamento, prima di infilarsi dentro la doccia e poi sotto le coperte per una notte di meritato riposo.
Si infilò la vestaglia e percorse la scala che lo separava dal piano riservato alla Principessa. Salutò la guardia di piantone alla fine della scala.
Si avvicinò alla porta intagliata, e stava davvero per bussare, quando sentì al di là del legno, una serie di mugolii e grugniti, vaghe parole in una lingua straniera che non conosceva e parecchio scricchiolar di baldacchini.
L'attività ludica della sorella parve evidente anche a lui.
Lanciò un'occhiata al piantone che molto compito gli riferì: "Il Messo del Principato di Fincallia...".
Gregorio abbassò la testa ringraziando per l'informazione. Accarezzò il legno della porta, e sussurrò un "Buonanotte" carico di tenerezza, prima di scendere le scale e avviarsi verso i suoi appartamenti.

Finalmente sola nelle sue stanze, la Regina si sedette davanti alla toilette per iniziare le operazioni di "disallestimento" che precedevano ogni suo coricarsi: strucco e sparrucco venivano sempre compiuti in perfetta solitudine onde evitare il filtrare di immagini non autorizzate del suo volto, che avrebbero potuto mettere in risalto i microscopici segni dell'età che si rivelavano nell'intervallo tra un intervento di chirurgia estetica e l'altro. La Regina Matrigna era conscia del suo ruolo d’immagine ufficiale del Regno e lottava strenuamente per mantenere la stessa molto al di sopra degli standard regali internazionali.
Certo ogni tanto qualche cosa le sfuggiva di mano, ma a tutto non si poteva porre rimedio.
Il pensiero le andò, naturalmente a Gunter e Gregorio e Carmen e rischiò di perdere una lente a contatto color viola, mentre si strappava con rabbia un ciglio finto. Sì, non c'era nulla da fare: solo ricordare quell'incongruo terzetto le faceva saltare i nervi.
Riprese la calma solo quando al di là della porta, la governate le annunciò che i Principini erano finalmente addormentati, e l'idraulico per accomodare il miscelatore della vasca, divelto da Valdo durante il bagnetto, era in arrivo.
-OH, se avesse potuto vedere Valdo salire al trono!
-AH, se fosse avvenuto prima della sua maggiore età, così da poter gestire in sua vece gli affari dello Stato come reggente, per qualche annetto!
-UH, che quantità di bene avrebbe potuto fare a se stessa e al Regno in quegli anni, invece di quella onesta e retta e parsimoniosa, ma soprattutto noiosa, gestione del BuonRe!
-EH sì che si sentiva pronta e capace!
"Hi hi hi hi", sghignazzò mentre appoggiava la parrucca di capelli fulvi e cotonati, con corona incorporata, sulla testa di polistirolo a cui Bilirubina, che aveva un animo da artista, aveva disegnato due occhi viola, come quelli di mamma con indosso le lenti a contatto. Che dolce pargoletta! tutta amore e meraviglia nella scoperta delle cose del mondo.
Il cellulare privato vibrò sul piano di cristallo della toilette. Riconobbe subito il numero sullo schermo e aprì il telefonino felice della chiamata.
"Generale Sfikilievich, che novità mi porta"?
Annuì in silenzio per qualche istante ascoltando la risposta, poi disse: "Molto ben fatto, cercherò di farle avere al più presto la foto e le misure esatte del cuscino degli anelli degli sposi... Sì.... Esatto... Al più presto... Esatto. Ma non sarà troppo piccolo per contenere un chilo di tritolo?"...

continua...

mercoledì 20 luglio 2011

MALCOM X = OBAMA IN MY DREAMS


Eve Arnold, Magnum Photo
big storm last night, it rained Heifers...

I dreamt that we were in Agna, and I was looking into the shaft of a bell tower, where the bells had been lowered to block the entrance to it, as if they were the moving part of an elevator stuck between floors. In the tower were the stairs leading to the lower level, where a bunch of people had gathered. There was my family; mom, dad, sister, my aunt, Skip and other friends of ours. There also was Barak Obama who was the center of all the attention. I was impressed looking at thim that he did not look at all like Malcom X, whose picture I had seen the previous evening in the New Yorker, and whom I thought had a strong resemblance to the president, with his sensual lips and reflexive pose with hand under chin...

The president in front of me was a big man instead, a bit bloated so that his chiselled featured were now round, generic, he could have been just anybody you see in the streets of America. People in the room were making a fuss about him and he was tense and tired looking, formal even though the occasion was familial. He was our neighbor we learned, having bought a house nearby and I immediately wondered how often would he have time to enjoy a vacation here... 

After people stopped trying communicating their enthusiasm with bows and wide gesturing I stepped in and secure in my English, led him to sit next to me on a settee. By now he looked like the familiar face in all press photos, and I felt I had to ask how he wanted me to address him -hoping he would say Barak since he was in our home. He thought about it a while, too long, so I offered "Mr President?" and when he nodded his approval I was disappointed,      though I understood that it was not vanity but sense of duty that required him to insist on showing the proper respect to his position.

My language fluency put him at ease and we had a little friendly chat where I asked him the question on my mind - how much time would he possibly have to enjoy his home in Tuscany? He sighed and closed his eyes, and reopening them admitted sadly that he did not have the time he wished he had to relax, even here... 

He looked exhausted and spent so I told him to not mind me and just lay down and take a nap, and so he did closing his eyes next to me and was fast asleep. I was very uncomfortable as there was barely space for me to lay all scrunched up next to him and not fall off the narrow padded bench, but I kept still as long as I could to let him rest. Eventually somebody made noise and he woke up but I knew that bit of shut-eye had helped, and while he gathered himself to stand I wondered how he would get back upstairs and out of doors with the shaft closed by the darn bells...

What this had to do with the rain I do not know but I wanted to share the silliness of it all!

mercoledì 13 luglio 2011

COCCHI REALI Pilot Episode

RACCONTO A 4 MANI:

quella rosa di Melinda,
quella arancio di Unoqualunque
e quella verde-blu di Titina
Editing di Ignominia

Personaggi:

Il fratello e principe ereditario.
La sorella e principessa.
La matrigna.
Il padre.

I gemellastri fratel/sorellastri.
Il promesso sposo del Principe.
L'amante della principessa.

La Wedding Planner.
La carrozza che non c'è.

Ad un mese dalle nozze del principe ereditario Gregorio Tommaso Filippo Filiberto Filiberto (aveva avuto due avi regnanti con questo nome) Edoardo Emanuelito Alvaro III, il panico cominciò a serpeggiare nella mente della wedding planner insediatasi col proprio staff nel Salone dei Balli Minori a Palazzo.
Raggiunta la consapevolezza che il sospetto che le circolava per la mente poteva considerarsi una certezza, un fiume in piena di terrore e panico fuoriuscì in forma di lamento in crescendo dalle labbra siliconate e lucide di rossetto e si andò ad adagiare sulle spalle dei collaboratori, spazzando via l'accenno di serenità che dal giorno prima si era instaurato tra gli specchi del salone barocco rimesso ad ufficio per l'occasione.
Altri ululati di dolore echeggiarono per le stanze del Palazzo, alcuni raggiunsero le cucine dove la panna montata si smontò insieme alla maionese d'amblé; altri le soffitte dove i topolini intenti a giocare con i vecchi giochi abbandonati dei principini, smisero di giocare; fino ad arrivare alla Sala del Trono dove si stava ricevendo il Suburro Marcantonio di Swazzilandiola, Ambasciatore Pessimo dello Stato Cannibale, con cui si cercava di concordare le condizioni per arrivare ad accreditare l'ennesimo diplomatico, e di non farlo finire in salmì.
"Ohibò!", sussurrò il Sovrano. "Che cos'altro turba quella femmina infernale giù sotto?", chiese al segretario privato.
"Mando subito una guardia ad informarsi, Maestà", rispose l'ometto, inchinandosi al Sovrano seduto sul trono, da cui conduceva una conversazione attenta e brillante con il Pessimo. Una porta si aprì sbattendo violentemente le ante sulle pareti stuccate e una donna in tailleur -a cui era crollata sia l'acconciatura che l'incrollabile fiducia in se stessa come miglior wedding planner del pianeta- precipitò nella Sala del Trono, inseguita dalle guardie reali che cercavano di fermarla, e dai suoi collaboratori che cercavano di fermare le guardie reali. Tra lo stupore generale la donna si precipitò ai piedi del trono, scansando con una gomitata il Suburro Marcantonio Pessimo e si lasciò cadere davanti al re. In lacrime.

"Maestà, manca la carrozza per il matrimonio", riuscì a dire prima di scoppiare in lacrime.

"Carrozza-zza-za-a, carrozza-zza-za-aa..."' cominciarono a riecheggiare gli stucchi, le volte, le tele delle grandi sale del Palazzo. L'eco correva, scivolava, serpeggiava più veloce della folgore e, insieme, vibrava l'angoscia di tutti gli abitanti del Palazzo: non mancarono vere e proprie scene di isteria.
Le domestiche, al piano di sotto, uggiolavano, i cuochi piangevano (e, stavolta, non per ciò che i loro taglieri vedevano sminuzzare); la servitù latrava, le dame di compagnia ululavano.
La principessa Carmen Osvalda Alberta Ingrid Filiberta Filiberta (triste destino, quello delle principesse sorelle), Duchessa del Virilalla, aveva infatti radunato un intero stuolo di dame, sue compagne e coetanee, per compiangere insieme il nefasto evento che, non molti giorni addietro, si era abbattuto sulla Casa Reale: avrebbero dovuto capirlo già allora che lo spezzarsi di quella sua unghia di rosso laccata altro non era che il triste presagio di una ben peggiore sciagura che era lì lì per venire.

"La carrozza!" gridò Carmen, balzando in piedi nel bel mezzo del proprio boudoir. "Oh, povero fratello!", disse. E, correndo, si lanciò come una saetta verso la porta.

Tale la foga di soccorrere le nozze compromesse dell'amato fratello che lasciò seminudo e interdetto sul letto disfatto l'amante col quale fin'allora si era sollazzata.
"Ma Carmecita...", provò il bell'imbusto a protestare.
"Un disastro, carino! Un vero disastro! Devo andare!", rispose sulla porta la regale amante.
"Passa dal Consierge e fatti pagare il solito. E soprattutto... NON CHIAMARMI Carmencita!"
Sparì in un fruscio di sete e crinoline per precipitarsi al piano di sotto, dove l'aspettavano per la manicure.
"Carrozza?", disse ghignando la perfida Regina Luigia, matrigna del Principe ereditario e della Principessa Carmen, che dopo aver sposato in seconde nozze il buon Re aveva dato alla luce i gemelli Valdo e Bilirubina.
"Carrozza! Ecco finalmente lo strumento della provvidenza per impedire le nozze del frocio..." sibilò costei, guardando amorevolmente i gemellini, che ignari, giocavano festosamente sul vasto tappeto damascato che ricopriva quasi per intero il parquet della camera.
(Valdo e Bilirubina sono due paffuti puttini, in tutto simili tra di loro, dato che sono per l’appunto gemelli, con l’unica differenza nel sesso. Biondi boccoli scendono sul collo di ambedue, occhietti un po’ porcini, affondati nelle guanciotte rosee, si muovono veloci per afferrare al volo qualsiasi possibilità di fare danno. La regina madre ha dato precise disposizioni di vestirli sempre uguali, dato per inteso che Valdo porta graziosi pagliaccetti stretti alla coscia e piccoli giustacuori dello stesso tessuto, e Bilirubina porta gonnette e corpetti del medesimo tessuto e colore. Inoltre Valdo, per onorare la sua già maschia virilità ,a dispetto della giovanissima età, porta sempre un piccolo spadino penzolante al fianco, e Bilirubina, a sottolineare la casta femminilità, allo stesso fianco ostenta una borsina ricamata e arricciata contenente solo un principesco fazzolettino da naso per il moccio.)
I due era nati provvidenzialmente poco dopo le reali seconde nozze del Re, chè in tal modo la perfida Luigia intendeva rafforzare in modo indissolubile il matrimonio, e anche, in prospettiva, soffiare il trono a quello che per lei era l’insopportabile, vanesio, maleducato, zotico, arrogante Gregorio Tommaso Filippo Filiberto eccetera eccetera.
Mentre Luigia poggiava lo sguardo amoroso sui gemelli (Valdo ostentando un sorriso angelico, tirava la coda al gatto, Bilirubina con serafica calma sfilava con attenzione certosina il ricamo di una delle dame di compagnia) ripassava mentalmente il suo progetto perfido. Nel suo sguardo amoroso comparvero trame e disegni che niente lasciavano presagire di buono. In quel momento il gatto, stanco della fanciullesca tortura, cacciò un miagolio simile al ruggito, riuscì a liberarsi dalle principesche manine e fuggì, non prima di aver affibbiato all’infante una ben mirata zampata.
Il piccolo Valdo, allora, cominciò a strillare, dimenando di qua e di là la sua boccoluta, bionda chioma principesca: la zampata, infatti, aveva lasciato un graffio sul dorso della manina, sollevando un lembo della sua morbida, lattea pelle.
"Madre, madre!", il bimbo si rivolse piagnucolante a Luigia, che, pensierosa, stava distrattamente contemplando - non senza un certo compiacimento - il lavoro della figlia Bilirubina sul vestito della dama più bella, "guardate cosa mi ha fatto quel gattaccio! Ahi ahiiiii!".
Il pianto interruppe la trama dei pensieri di Luigia che, stizzita, afferrò il braccio che Valdo le tendeva, e stritolandolo lievemente gridò: "E cosa sarà mai un graffio, Valdo, santiddio?! Valdo, vuoi per caso seguire le orme di quel finocchio regale?! Smettila di strillare come una checca!".
Avrebbe voluto dire "come una bambina", ma era chiaro che i pensieri sulle imminenti nozze del figliastro occupavano quasi per intero la sua mente.
Così le sue parole suscitarono l'ilarità di qualche dama - che cominciò a ghignare o sbuffare dietro la mano prontamente portata alla bocca - e, soprattutto, di Bilirubina, che iniziò a canticchiare:
"Vaa-ldo che-ccà.....Vaa-ldo che-ccà!", portandosi le manine sulle spalle, lanciandole poi in aria e sventolandole, sempre secondo il ritmo, a sinistra e a destra (stava riproducendo così canzone e rispettivo ballo imparati all'ultimo party dato dal fratellastro, in occasione del quale lo stesso Filiberto, travestito da indiano, si era impossessato del palco della grande sala, insieme ad altri suoi cinque strani amici, travestiti anche loro - un poliziotto, un cowboy, un motociclista, un soldato e un operaio).
La Regina Madre non badò a nulla: i suoi pensieri tornarono al matrimonio, al frocio, alla carrozza.
"Carrozza!", ripeté sottovoce, e le labbra si piegarono in un sorriso arcigno.
I due puttini uscirono, correndo, dalla sala: Valdo raddoppiando le lacrime per la ferita e per l'offesa di cui non capiva il significato-, Bilirubina appresso, gridandogli ancora, tra risa incontenibili, "Cheeeecca!! Cheeecca!".

Le stanze, adesso, risuonavano di un'altra parola.

Le vibrazioni scaturite dalla nuova parola urlata a squarciagola si diffusero per i corridoi e le sale, rimbalzarono sugli stucchi i tendaggi e gli specchi, per poi passare attraverso le innumerevoli porte intarsiate. Dietro una di queste, due battenti decorati in stile veneziano, con i colori prediletti dal Principe (il verdino, il giallino, il rosa antico, l'avorio) si apriva l'ampia camera da letto di Gregorio Tommaso Filippo Filiberto.
Questi, al centro della spaziosa stanza, con lo sguardo puntato su un'enorme specchio incorniciato d'oro che occupava buona parte della parete, pareva un indemoniato, o un povero mentecatto, o, peggio, un tarantolato. Perché nell'apparente assoluto silenzio, si dimenava in gesti e posizioni scomposte che sembravano non avere né capo né coda. Allungava le braccia in avanti, per poi portarle sulla testa, ancheggiava vistosamente, passandosi le dita sugli occhi sgranati e facendo passettini sulla punta dei piedi. Ma ecco svelata la stranezza: ben infilati nelle orecchie due auricolari quasi invisibili da cui pencolavano i fili connessi all'I-POD, la musica direttamente sparata al cervello.
Il principe allungando ancora una volta il braccio davanti a se, con il dito ad indicare qualcosa di immaginario, e girando a 180 gradi la testa da sinistra a destra, primo, non si accorse che con quel gesto della mano il vistoso anello che portava bizzarramente all'indice si sfilò e volò lontano, secondo non udì la parola che ancora echeggiava nei corridoi. Né tanto meno si accorse della porta che si apriva precipitosamente: entrò prima un tacco dodici con calza a rete, poi in contemporanea una nuvola di trasparenze e il viso congestionato della sorella, Carmen.

"Greg!", gridò Carmen, "Greg!!!".
Nessuna risposta. Dovette avvicinarsi così tanto da strappare le entrambe le cuffiette dalle orecchie tirando il cavo che penzolava dalla tasca posteriore dei jeans principeschi.
Subitamente nell'aria si allargarono le note metalliche di "Macho Man".
"Ehi Carmen!" esclamò sorridendo il fratello, sempre contento di vederla ed evidentemente abituato a queste incursioni improvvise nella camera da parte della sorella.
"Bacio, bacio...", disse indicando la guancia sinistra."Ma cos'hai fatto alla mano?", chiese notando la fasciatura fresca di giornata che ricopriva la mano destra.
"Trapianto delle unghie, così non si spezzano più a tradimento".
"Figo!!!", aggiunse estasiato il fratello per nulla impressionato dalle piccole chiazze di sangue che trasparivano dalla fasciatura.
"Sì, figo... Anche doloroso direi, ma alla fine ne vale la pena", rispose guardandosi la scultura medica che sarebbe stata per qualche giorno l'estremità destra. "E spegni questa musi anni ottanta".
Il lieve rumore ritmato e metallico che proveniva dalle perfette cuffiette intrauricolari Bose si silenziò.
"Ma non hai sentito il trambusto?"
"No, stavo provando il ballo di gruppo per la festa dell'addio al celibato. Perché che accade? La perfida Regina Luigia aspetta un altro paio di impiastri da nostro padre? Non credevo che i reali lombi potessero ancora...".
"Finiscila che mi fai vomitare all'idea di nostro padre che fa sesso. No! Si tratta, invece, della W.P.. Ha avuto una crisi isterica quando ha saputo che nel Regno non esiste più una singola carrozza".
"O una carrozza single?". Si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere.
L'intesa tra loro due era quasi molecolare. Primi figli del primo re reinsediato al trono del Regno di Lupistein-Zissonia dopo il colpo di stato del 2035 perpetrato dal Generale Sfikilievich, e successivo intervento dell'esercito dell'Unione Europea di cui il piccolo regno faceva parte, avevano dovuto destreggiarsi tra i mille impegni e le mille restrizioni della nuova Corte supportandosi l'un l'altro, consolandosi delle fatiche del crescere affrontate in solitudine o al fianco di perfide istitutrice dallo sguardo gelido e la disciplina ferrea: il padre aveva da fare il re; la madre passava sei mesi l'anno a disintossicarsi alla clinica Betty Ford più esclusiva, aveva altro a cui pensare.
Erano quindi uniti. E quest'unione era temuta da molti, a partire dalla matrigna, che vedeva in questo sentimento la difficoltà maggiore di far salire al trono il piccolo Valdo (dopo l'incidente col gatto ribattezzato dalle dame di compagnia della madre: "Valda", come la pasticca). Si difendevano e sorvegliavano reciprocamente nella vita privata e in quella pubblica e gli sforzi di Carmen erano tutti per far sì che un giorno il fratello arrivasse ad indossare la corona del padre. Se non era stata trovata la strada per far fuori Gregorio Filiberto Filiberto Filiberto - e sì che erano stati assoldati più di un killer per provarci - era perché la sorella, che si portava diligentemente a letto ogni funzionario dei servizi segreti, per non far trapelare la notizia che si portava a letto TUTTI i funzionari dei servizi segreti, aveva sempre informazioni di prima mano e riusciva così a salvaguardare la vita del fratello.
"Finiscila di fare il cretino!", disse la sorella abbracciandolo.
"Insomma la carrozza per te e Gunter non c'è. Si parla pure di affittare quella della cugina Kate da Londra, ma pare ci siano delle difficoltà nello spostarla".

"Ma io e Gunter non abbiamo bisogno della carrozza", provò a protestare il principe.
.... continua

mercoledì 6 luglio 2011

THE MONDAVI'S WEDDING - PART 3




TERZO E (INFINITO) ULTIMO ATTO


Il mattino dopo l'atmosfera è come quella di Duello A Mezzogiorno o Sfida All'OK Corral, quando gli eroi si preparano a morire.
In silenzio, con gesti misurati e precisi, la pistola viene lucidata, le munizioni messe una per una nella bandoliera, e così noi ci prepariamo per la giornata, controllando che tutte le batterie siano cariche, che il mio timeline sia trascritto su un foglio unico, comprendente la lista di scatti obbligatori che ci hanno richiesto di fare. Piegato a fisarmonica e messo nel marsupio insieme alla mia camera e al cellulare, gli essenziali per la sopravvivenza che avrò addosso tutto il giorno. Sono incaricata di tenere David on schedule, di far si che gli sposi, rapiti per le foto, tornino agli ospiti e al programma del giorno nei tempi dovuti. Dobbiamo fare l'intervista alla sposa, fotografarla mentre si prepara, e poi insieme alle damigelle. Dopo dobbiamo correre a Nipozzano e intervistare lo sposo, fotografarlo con i testimoni, poi ci sarà la cerimonia di cui io deve fare il video, poi le foto di tutti insieme, fotografare la cena, riprendere i discorsi, e fare le foto "creative" che abbiamo a lungo pianificato.

David mi cede la guida, nonostante l'esperienza della sera prima, segno positivo. Alla villa alle 11 è tutto calmo, in un bagno corre una doccia, si spilluzzica ancora la colazione. Prepariamo il luogo per l'intervista, apro la cappella con chiavi medioevali lunghe come due palmi e ci  porto uno scaleo per fotografare dall'alto. La sposa visibilmente nervosa si illude di potersi vestire all'ultimo momento ma dobbiamo fotografarle tutte vestite e con i fiori quindi non c'è tanto tempo da perdere. A sentir questo si trasforma in un cerbiatto intrappolato dalle fiamme, pronta a balzare dalla finestra pur di fuggire, per fortuna c'è Kara, la damigella d'onore, che le dice che le ragazze vestiranno mentre lei mangia, che non c'era problema, i tempi ci sono.

In realtà le cose sono andate ben diversamente... ma andiamo per ordine.

Mentre aspettiamo riguardiamo il programma e solo ora David decide che forse sarebbe meglio tolgliere i fili della biancheria in cortile. Provo con cacciaviti e pinze prese in prestito in cucine ma ci vuole troppo tempo e probabilmente dovrò mollare tutto a minuti per l'intervista, quindi gli dico: perché non trasformare uno svantaggio in vantaggio?: usa i fili per metterci della biancheria per il "tocco Italiano" che cercavi. Gli si illuminano gli occhi, buona idea e vado a cercare lenzuola da appendere al sole del cortile.

L'intervista: David chiede a Megan di raccontare come Carlo le avesse chiesto di sposarla, e lei racconta che dovevano andare a cena da qualcuno e Carlo aveva detto che si doveva fermare prima un momento alla Opus One.  L'azienda non era più dei Mondavi ma Carlo aveva fatto capire che pensava di poterci entrare comunque "perché il codice di ingresso non era stato cambiato" e quindi lei era convinta che stessero entrando illegalmente, supposizione confermata anche dal nervosismo di Carlo. Entrati in una sala dell'azienda però hanno trovato un bel camino acceso e un'atmosfera romantica dove lui si è inginocchiato e le ha chiesto di sposarlo e dopo il sì di lei l'amico complice è entrato con lo Champagne.... et voilà.
Mentre lei racconta gesticolando io tengo il microfono -un coso peloso grigio che pare un gatto imbalsamato- sopra la test di lei controllando l'audio con le cuffie e sul equalizzatore del registratore, cosa che per me era una prima totale. Complemeno il mio senso di incertezza professionale con un sorriso ebete-entusiasta di incoraggiamento rivolto verso Bambi, mimando sorpresa e divertimento con l'unica cosa libera che ho neanche fosse un'intervista con Dario Fo o con Paolo Poli... comunque...
Intervista check sulla lista, next!

Ci insinuiamo negli alloggi privati delle fanciulle, la stanza di Megan è turchese e sembra un set di un chick flick, una commedia romantica. Il letto a baldacchino, al quale sono appesi abito da sposa e velo, è un campo minato di accessori come giarrettiera, ferma capelli, spilla per raccogliere lo strascico ricamati di perline come l'abito, e ancora ciglia finte, scatolette di velluto per anelli, metro da sarta (?) spazzola.
Come se nella stanza fosse passato un uragano, ovunque ci sono sacche, valige, sporte e contenitori di abiti, reggiseni e altra biancheria intima; e poi scarpe, asciuga capelli, stira capelli, arriccia capelli, arriccia ciglia, pinzette, borse da trucco, rossetti; e infine borse ziplock da un gallone contenenti estensioni di capelli biondi, bruni, neri in abbondanza da mimetizzare un plotone di Skinheads.
Le damigelle entrano e escono in vari stadi di dishabillie, avvolte in asciugamani dopo la doccia, struccate o truccate fermandosi a coordinare con la sposa, per sapere dov'e qualcosa, per prendere una sacca o un capo di vestiario.
Megan non riesce ad accendere il ferro da ricci, dice che non entra nella presa e vuole un adattatore, io la inserisco nella spina senza problemi. Lei pigia un bottone e dice "non funziona, ce n'è un'altro?" e si allontana: io prendo il ferro in mano pigio l'altro bottone con su scritto ON e il ferro si accende - ne deduco la seguente regola matematica: una ragazza è tanto nel pallone quanto è la sua incapacità di usare gli strumenti più familiari.
Megan va in bagno con Kara, ad arricciare con il ferro non i suoi capelli, bensì le estensioni che serviranno a volumizzare la sua capigliatura. Gradualmente ci insinuiamo nell'inner sanctum. David s'inerpica sul WC e io scalza mi ficco in vasca con il fedele palo/luce... La sposa fa il trucco alla madre, Kara si asciuga i capelli, altre ragazze entrano e escono.
Viene portato un piatto di cibo per Megan che lo spelluzzica nella poltrona in camera mentre la cognata avvolta da un asciugamano si inginocchia ai suoi piedi. Presto è chiaro che non è semplice ciacola bensì un importante scambio fra future sorelle sul significato dell'essere in Italia in questo momento, dell'importanza dell'unione a venire per le loro famiglie - quindi corro a prendere il registratore per fermare le loro parole. Questo mi fa sentire al contempo un'intrusa (una mosca sul muro, una spia) e una testimone privilegiata di questo intimo momento nella vita di due famiglie. Ma pare pure irreale e un po' finto, come se avessero preparato il discorso a beneficio di noi osservatori e quando gli chiedo di ripetere dall'ultima frase detta loro la ripetono senza battere ciglio.

Appoggia, acchiappa, punta, digita il numero, dirigi, riprendi, dove l'ho messo? scansa, gira attorno, osserva, nasconditi che sei nello scatto, avvicinati che sei troppo lontana, aumenta o diminuisci la potenza, sali, scendi, parla al telefono, metti, leva le scarpe, guarda, ricorda, sorridi, comunica con David, immagina cosa voglia.... A momenti mi trovo tra le mani il cellulare, il palo luce, la video camera o il registratore del sound e perfino la mia macchina fotografica.
Il tempo scorre lento immersi come siamo in cotanta girlytude, un mondo femminile e frivolo che mi è poco familiare e che osservo come un'antropologa, divertita e curiosa. Siamo già parecchio in ritardo sul piano di marcia ma non possiamo farci niente... salvo avvisare la Planner perché la cucina si adegui al nostro passo da lumaca...

Le damigelle si fanno i capelli a vicenda, entrano nei vestiti, delle tuniche in Crepe de Chine beige strette in vita da fasce di seta cangiante color vinaccia. Arrivano i fiori: ortensie verdi per le damigelle e un bouquet bianco e verde per la sposa.

Finalmente la sposa entra nell'abito, la zip viene chiusa ed è è bellissima, anche se senza fiato per qualche etto acquistato nelle 3 settimane in Italia; tutte le damigelle le sono attorno e la fotografano, io faccio quel che posso dietro al muro di donne.
 
C'è da farla vedere al padre, che seppure affetto da qualche distrofia muscolare, è sempre sorridente e pare quello che si sta divertendo di più. Mi perdo la scena ma è il momento di condurre la banda nela cappelletta per le foto. Con lentezza esasperante e traballanti su tacchi ridicoli le damigelle cominciano a sfilare fuori dal portone. Sono le 16.00 e dovevamo essere già a Nipozzano...

Filmo l'uscita con la videocamera ed ecco che una delle damigelle tombola sul culo, si rialza e vuole che cancelli la ripresa. Le dico che lo deve chiedere al fotografo, non ho l'autorità di farlo (ci mancherebbe!) e lei emette malvolere da matrigna. Nella cappella l'organizzatore degli alloggi, anch'esso ospite e guardone onnipresente dei preparativi, fotografa dietro di noi la scena che David ha coreografato. Questo mi irrita perché lo immagino passare le immagini ben riuscite come sue. Scoraggio David a salire in piedi sull'altare per paura che venga giù e perché seppur agnostica, lo trovo irrispettoso... Vado e vengo varie volte con diversi attrezzi, e finalmente andiamo in cortile.
Click click click ed ecco arrivare il paparazzo di prima che si intromette commentando sulla bruttura delle lenzuola dietro. Dice che dovremmo toglierle, noi cerchiamo di ignorarlo e continuiamo a lavorare. Lui pensa che non sentiamo e continua a insistere con più veemenza, offrendosi di spostarle lui e si avvicina al che David tranquillo gli dice no, lasciale, le abbiamo messe apposta. Duh!
Che presunzione! Come si fa a pensare che il fotografo - fatto venire apposta dagli USA per scattare questo matrimonio- non sia in grado di vedere se qualcosa è brutto o meno e di farlo togliere se necessario? In ogni caso...
Foto sposa e damigelle: check sulla lista, next!

Carichiamo tutto l'ambaradan in macchina e partiamo per Nipozzano, mi spiace aver lasciato tutto per aria: le lenzuola sui fili, le chiavi nella toppa, lo scaleo nella chiesa: Diletta e il resto del personale  alla villa hanno ha già abbastanza da fare, avrei voluto risparmiargli il nostro di casino... siamo tutte working girls after all!
A Nipozzano portiamo tutto al piano nobile e montiamo di corsa per l'intervista, fa un caldo boia dentro specie vicino alla finestra e bisogna mettere la cipria allo sposo perchè è lucido... tutto fila liscio, la stessa storia di Megan, con dettagli aggiuntivi. Lui non è per niente teso, ma quando cerchiamo di dirigerlo con la sua posse in smoking verso il castello lui punta i piedi e dice che la vuole fare in cantina. Eccone un'altro che pensa di sapere meglio lui come fare il nostro lavoro, però devo dargli credito che ha ragione, la cantina è vicina, e non si deve fare una sudata prima della cerimonia, quindi in cantina andiam. E' enorme e piena di barili di vino allineati per terra e impilati sui lati della lunga stanza. Fotografiamo sposo e giovinotti come se fossero una gang di mafiosi, occhiali scuri e mani intasca, in posa e mentre interagiscono gesticolando l'uno con l'altro, o mentre camminano sicuri verso David che è appollaiato su uno scaleo per riprenderli dall'alto.
Intervista/foto sposo e giovanotti: check sulla lista, next!

La Wedding Planner è presa dal panico quando la incontro in una delle mie scappate a prendere qualcosa che manca, non sa dove siamo finiti, non eravamo al castello, ci dice di venire su subito, ma quando passo parola in cantina non mi si fila nessuno e David mi dice zitta che ora facciamo foto... oops!

Finalmente torniamo su e inizia la cerimonia, io metto il cavalletto dietro all'ultima fila di sedie e cerco di carrellare zoomando con la videocamera le damigelle e i genitori degli sposi che percorrono il prato fino a sedersi in prima fila. Passata anche la sposa con il padre, pianto il treppiede in mezzo al corridoio e lo lascio andare che filma il tutto come per istruzioni. Abbiamo deciso di evitare il sonoro perché il giorno prima c'era una cicala malefica che gracchiava sull'albero a squarcia gola e stamattina era ventoso che disturba il sonoro: ora non c'è traccia né di vento né di insetti rumorosi, ma tant'è!
David mi sta proprio davanti per cui mi sposto un po' a destra per filmare gli sposi, decisione pessima per quello che segue. Al momento del bacio il "Katz del cazz", il fotografo professionista ospite della famiglia, si alza dalla sedia e si pianta di fronte alla mia cinepresa, io gli sibilo di spostarsi ma devo scuoterlo per la giacca perché mi dia retta e si volti con espressione di finto orrore - ma è troppo tardi. Quando lo dico a David mi dice che neanche lui è riuscito a prendere il bacio -siamo del gatto! David fa le sue rimostranze al Katz che si difende debolmente, dicendo " non crederete che l'abbia fatto apposta vero?" Non sta a me dargli del bugiardo ma gli dico che sapeva benissimo che ero proprio accanto a lui perché due volte gli avevo gesticolato di passarmi di lato e non di fronte per sedersi, e proprio da lui, un collega, mi aspettavo di meglio. Nel frattempo hanno servito il vino a tutti gli ospiti perché brindassero con gli sposi e un intero vassoio di bicchieri viene versato su un povero ospite in ultima fila... doppio oops! Vabbè
Cerimonia: check sulla lista, next!

Seguiamo il Wedding Party che si incammina verso il castello per le fotografie. Sposi, parenti, damigelle, giovinotti, arriviamo al castello per scoprire che c'è un'altro matrimonio che si sta facendo le fotografie e dobbiamo aspettare... argh. Lo sposo mi vuole mandare a chiamare rinforzi, si sente Principe Ereditario e vuole far pesare la sua posizione privilegiata. Mandano uno dei giovanotti invece, ma c'è poco da fare, siamo nel 2011 per fortuna in una paese relativamente democratico e di memoria socialista e dobbiamo aspettare il nostro turno. Loro bevono Champagne che un cameriere ha portato lassù con degli snacks: ogni tanto adocchio desiderosa la bottiglia nel portaghiaccio ...sigh
Vengo mandata alla macchina a prendere lo strobe, (la mia inconfessata passione) taglio attraverso la proprietà passando tra un gregge di cani slegati che abbaiano vogliosi vicino ai miei stinchi, una gioia... Arrivo al parcheggio che è il punto diametralmente più distante dal castello in tutta la proprietà e trafelata riesco a montare la tenda intorno al flash; a connettere i cavi ed accendere e testare il flash e a montarlo sul palo poi caricatami tutto in spalla mi avvio per la salita di ritorno. Mi sono anche messa le scarpe a posto dei sandali ma ho fatto peggio... Arrivo su per accorgermi che ho dimenticato lo slave da mettere sulla macchina fotografica (un aggeggio che manda gli impulsi all'altro aggeggio montato sul flash perchè scatti in sincronia con la macchina fotografica) quindi già sudata e senza fiato riparto attraverso cani, villa, etc. Altro giro altra corsa, tornata su vengo rimandata a prendere la lente lasciata in cantina. Cazzarola, è il momento più duro della giornata, comincio ad accusare....

La terza volta che salgo i 30 scalini medioevali - leggi ripidi - che porta ai bastioni solo il fratello dello sposo mi chiede se voglio una mano: E' gay, porta due hearing aids arancioni negli orecchi, forse ha una sensibilità maggiore degli altri per le minoranze eccentriche? Lo benedico, lo ringrazio ma finisco da me. Terminiamo gli scatti contro il muro, la sorella dello sposo crede di essere divertente parlando continuamente con l'accento di un italiano che parla male l'inglese, non rendendosi forse conto che è offensiva? Nella disperazione data dalla stanchezza comincio ad odiarla.
Colpo di grazia finale gli ultimi scatti, presi mentre scendiamo la scala, riprendendo gli sposi prima dall'alto e poi dal basso, mentre nei scendiamo velocemente all'indietro, David senza guardare e io carica e traballante come un somaro. Sono ad un millimetro dal rifiuto totale tipico di quelle bestie quando David mi dice che devo andare più svelta per tenere la luce più lontana dagli sposi che avanzano. Parla bene lui che ha le gambe lunghe il doppio delle mie e non si è fatto la collina su e giù sei volte. Io zitta e a testa bassa mi dico che sarei un'idiota a rischiare di cadere e farmi male per quelle scale, mi conosco abbastanza da sapere che sono al limite e non posso spingere di più. Ma una parte di me osserva ansiosa le SUE scarpe per accertarmi che si posino bene sugli stretti gradini rosi dalle intemperie, e quando a volte incespica un po' mi sale il cuore in gola......
Finalmente è il turno di Katz con gli sposi, -TUTTI TUOI STRONZO!

Controlliamo sulla lista che siano stati fotografati tutti i gruppi richiesti, check, check, check, check, però mancano ancora parecchi scatti....

La gente si siede finalmente per la cena. Filmiamo i discorsi, preparo i set delle foto "creative" per quando finalmente riusciremo a portare via gli sposi dalla festa. Faccio preparare due serviti sul tavolone da 25 per una foto dei due sposi che richiami la vita di ogni giorno, uno di fronte all'altro su un tavolo assurdamente lungo. Sull'alzatina nel mezzo ai due metto l'unica frutta fresca che riesco ad ottenere: un'ananas, che mi pare si adatti bene a simboleggiare la vita in due- dolce ma con spine.
Ci viene detto che lo sposo vuole più foto: qualcuno ci dice che non dovremmo stare nel mezzo a filmare perchè gli ospiti non vendono; ci alterniamo, cercando di non essere di intralcio ad ospiti e camerieri.
La Planner mi chiede di dire ai musicanti - fisarmonica, chitarra e mandolino- che suonino un walzer per la danza della sposa con il padre. Mi viene in mente non so come "O mio babbino Caro", dell'opera Gianni Schicchi, un pezzo che mi commuove sempre, (anche ora che sto scrivendo- zac lacrime agli occhi.) Il pezzo è perfetto e la WP mi ringrazia ripetutamente per la scelta. La cena scorre lenta e noi non stiamo fermi un momento. In cucina riesco a farmi dare 3 piatti di gnocchi e mangiamo al volo. La WP è stressata perchè ha finalmente litigato con Diane che se n'è andata cercando di portarsi via uno dei pulman che Mary Ellen però è riuscita a tenere qui.

E' ovvio oramai che gli sposi non hanno nessuna intenzione di farsi fotografare prima della fine della cena, ma non ci sediamo certo a riposarci. Frulliamo per questo e per quello, la Planner si lamenta, io ascolto e simpatizzo; David scarica le immagini sul portatile e io faccio rimettere i piatti sul tavolone perchè qualcun,o furbo, li ha tolti.
Ad un certo punto nel salone dove siamo accampati intravedo un movimento sospetto e poi un forte CRASH di legno che si rompe. Mi giro in tempo per vedere il corpo di David che si ritrae dal lungo tavolo che si è parzialmente abbattuto a terra. Gli chiedo incredula se ci sia salito in piedi come voleva fare con l'altare... lui arrossisce, sorride imbarazzato e dice di essersi appoggiato solo con un un gomito al centro del tavolo: è possibile che sia bastato perchè David è alto e robusto e deve pesare anche tenendo i piedi per terra... Teniamo il tavolo come possiamo fino a che arrivano aiuti che lo puntellano per il momento con scatole di vino vuote. Sono seccati, è un danno, come lo diranno ai Marchesi? Ci possiamo scordare la foto su quel tavolo ora quindi faccio togliere i coperti.

Finisce la cena se dio vuole, facciamo le foto con tutte le famiglie e gli sposi, sui divani di velluto sottile, attorno ai mobili delicati e fragili, circondati dai dipinti antichi che ritraggono santi, martiri e avi della famiglia, tutta storia la cui fragilità e impermanenza rimane aliena a questi americani. E questi volti sani e rubizzi, dalla genetica poco diluita, acquisisce un tantino di gravitas in questo ambiente, una dose di stolidità che dona ai nostri "gruppi di famiglia in un interno".
La festa si è spostata in un'altro cortile dove c'è un'enorme torta a vari piani, un wine bar è stato approntato e il DJ ha preparato i suoi strumenti per farli danzare, come d'obbligo per ogni matrimonio che si rispetti. La torta viene ammirata, lodata, viene presentato il pasticciere, viene tagliata, e gli sposi se la spalmano sulla faccia l'uno con l'altra, un gesto irresistibile pare per qualsiasi sposo, che dopo la dura giornata trascorsa nutre già un filo di risentimento verso il partner che ritiene causa di tutta quella commozione.
Poi ballano. Noi abbiamo finito, o meglio, a David ci vuole che uno gli dica a muso duro che non è piacevole avere una flashata sul viso per scoraggiarlo a scattare ancora e così l'abbozza anche lui, e finalmente accusa stanchezza. Io porto giù l'equipaggiamento, ho trovato una scorciatoia che passa dentro la casa evitandomi di fare il giro del prato e lo scalone esterno: 300 metri in meno per viaggio e per di più non al buio.. :-)
Smonto, carico la macchina, mi cambio le scarpe perchè queste sono stivaletti Malesi, mille volte meglio i sandali guarda, mi sembra di camminare direttamente sulle ossa scarnificate dei miei piedi...

Sono le 12 passate, torno su e la Planner dice di essere fottuta perchè i pulmini non ci sono e ha 80 persone da riportare a Firenze. Mi faccio dare i 2 numeri di telefono in suo possesso (l'ncarico era di Diane) sperando che siano degli autisti e chiamo vergognandomi di dover svegliare qualcuno. Al primo tentativo mi riattaccano in faccia, poi risponde un autista che mi dice di essere là fuori, sono in due e aspettano dalle 10 che li chiamiamo... siamo salvi.
Cominciano a calare nell'androne i più anziani e i più stanchi che sperano di poter partire subito ma dobbiamo riempire i pulmini prima di mandarli via, e anche se abbiamo detto che la festa finisce alle 1 non possiamo andare su e staccare la spina, dobbiamo aspettare che la festa si spenga da sè. Alcuni ospiti si lamentano, cercano un passaggio con noi ma noi non potremo andare via fino a che la Planner non ha messo tutti sui pulman, sarà una cosa lunga anche perchè la Planner vorrebbe essere accompagnata a Sesto (io non ho idea di come arrivarci), non vuole andare all'albego da sola per via di Diane. Le dico che può dormire con me, c'è un letto in più nella mia stanza e domani con calma la portiamo a prendere la sua roba e si trasferisce dove vuole.
Parte un primo bus per la villa vicina. Quando torna si riempie veloce ma riesco a farci entrare un bellissimo asiatico con la moglie, convincendo l'autista a non separarli. Partono alle 2 circa, calcoliamo speranzosi 45 minuti,  1 ora massimo a quest'ora di notte:  in realtà ci vuole un'ora e mezzo per l'andata e ritorno.

Anche i più giovani cominciano ad arrivare in cortile stanchi, alcuni sono molto sbronzi, una ragazza è in condizioni pericolose, scalza con i piedi che fanno schifo, è accasciata sulle scale, temiamo che ruzzoli di sotto. Kara arriva con una mano piena di tacchi delle scarpe che ha raccattato in giro e l'altra di borse e pochettes. Adoro questa ragazza che sembra sempre all'altezza di tutto. Fresca come una rosa, lucida e attenta ha fatto il giro del giardino al buio per accertarsi che nessuna abbia lasciato roba in giro; sa quante persone sono rimaste in villa e dove sono, e dolcemente conduce i più restii a venire giù per essere contati in modo che il personale di sopra possa rimettere in ordine. Convince la sbronza a scendere e sdraiarsi sulla panca dell'androne dove si accascia semimorta. Se non altro non camminerà sui vetri rotti di cui landrone è cosparso insieme ai bouquet di fiori, le borse, le scarpe, le dozzine di calici e bottiglia semi vuoti. Hanno lasciato un bel casino non c'è che dire, hanno ragione a non affittare mai per matrimoni, questo era un caso speciale che conferma la regola.

Io vado su a prendermi una fetta di torta che è fantastica! L'impasto leggero della schiacciata alla Fiorentina piena e coperta di panna montata incastonata da ribes rossi, neri e bianchi, lamponi e more grandi come occhi.
Faccio i miei ringraziamenti e saluti allo staff e a quelli in cucina, poi mi procuro un bicchiere di vino bianco, e torno giù, non prima di aver avvisato tutti quelli ancora di sopra che vengano giù perchè rimarranno lì se non salgono subito sul bus quando arriva. Faccio la conta anch'io e mi pare siano esattamente quanti i posti sul pulmino ... speriamo bene. C'è un tipo simpatico un po' sbronzo, il ragazzo di quella che sta smaltendo la sbronza sulla panca, che si unisce a noi sul muretto sul bordo del piazzale, da dove controlliamo la strada per vedere quando arriva il pulmino. Ci racconta del suo lavoro, nel campo dell'ospitalità, e di come all'albergo Eden Rock li stiano trattando malissimo, rifiutandogli pare anche di dargli i piatti su cui mangiare. Dopo che hanno cancellato le 10 camere al'Le Rondini dove stiamo noi, se lo meritano di venir trattati da pellai nel posto figo... Di sicuro si sono alienati l'ospitalità facendo casino a tutte le ore, anche se il tipo simpatico dice che sono stati educati e mai disturbato... chi credere?  Arrivano 3 macchine creando false speranze ma è personale che viene ad aiutare a pulire...

Kara è l'unica che si rallegra a vedermi finalmente bere un bicchiere in relax, dice più volte che è così felice che finalmente ho smesso di lavorare, devo aver veramente fatto un po' pena. Mi rendo conto che non è usuale vedere una donna, per di più di mezza età come me, fare un lavoro come quello che ho fatto questi tre giorni.
Sono sveglia come un grillo oramai, sono le 3 passate, chiamo il numero dell'autista per sapere che fine a fatto il pulmino e vengo a sapere che i deficienti arrivati in albergo lo hanno fatto rimanere lì per un pezzo a chiamare taxi e a non so che altro e che quindi è in ritardo.
Quando finalmente arriva salgono tutti e.... ci sono 3 persone di troppo. Convinco l'autista che deve portarli via perchè non si può fare altrimenti, lui tentenna, rischia la multa o altro così per abbonirlo dico a tutti che se l'autista dice la parola Polizia tre di loro devono sparire sotto i sedili... pena la galera- e con quella l'autista si tranquillizza e partono, non prima di aver però raccogliere il sacco sbronzo e legato con la cintura di sicurezza sul sedile davanti nel caso che debba vomitare...
oi oi...

Partiamo anche noi, guido io perchè David non ne può più. Vuole che segua il pulman fino alla villa, dove gli ospiti devono prendere delle sacche, e lui vuole trovare una macchina fotografica che ha lasciato a qualcuno perchè la usasse. Anche al tipo simpatico ne era stata affidata una e lui a filmato religiosamente tutti i discorsi, così siamo tranquilli che per lo meno quel  materiale c'è.
Seguiamo il pulmino fino allo svincolo per Pontassieve, e appena la strada si raddrizza, li sorpasso, suono il clackson e CIAO! A quell'ora facciamo presto ad arrivare in albergo, portiamo su la roba davanti alla proprietaria che fa la notte e aprendo la porta ci guarda severa, ma non chiede nulla sulla terza persona con noi per cui non diciamo nulla neanche noi. Mi fiondo in bagno, mi metto i tappi e buona notte al secchio! Ce l'ho fatta, ho fatto tutto al massimo delle mie possibilità, ho fatto un buon lavoro, ANCHE se ho cannato le riprese video, ANCHE se le luci non erano dirette nella direzione giusta, ANCHE se non vengo pagata il saldo: Ho finito e per me ho finito bene.