martedì 21 dicembre 2010

UDITE, UDITE!!!!

Annunciamo che abbiamo fatto il trasloco dello studio e ora sono nuovamente e comodamente seduta alla mia scrivania ma al caldo di fronte alla stufa! Che non avrò da combattere con fili di tastiera e periferiche ogni volta che mi metto il pc sulle ginocchia; il mouse che cade dal bracciolo della poltrona e la schiena che mi fa male per la posizione da rigor mortis

Hurrah!

Inoltre abbiamo (Plurale Maiestatis) finito di passare le palline tartufate nel cioccolato in polvere, e fatto il primo (1°) pacchetto e regalo di esse. E abbiamo tirato fuori le scatoline varie che mettiamo (sempre P.M.) da parte da anni per usarle un dì e constatiamo (PM) che utilizzarle per impacchettare i dolcetti da regalare è la loro morte...

Hurrah!

Ulteriormente, ci è stato ritornato CV e lettera di accompagnamento dall'editore (Pippi) e apportate le dovute/suggerite correzioni è stato inviato sia per mail che per posta al destinatario.

Hurrah, Hurrah!

Che le paturnie del marito sembrano essere passate: Hurrah!

Che abbiamo ripreso le fila con il socio senza aver creato disaccordi o mugugnii, ritorsioni o trincee da cui si spara a vista (una bottiglia di olio e i primi cioccolatini hanno aiutato): Hurrah!

Che abbiamo parlato con F. e avuto -come d'uso- il primo scazzettino (così è fuori dai piedi come il bacio della buona notte che Woody Allen giustamente voleva avere all'inizio della serata per eliminare i nervosismi preliminari) e ora possiamo inebriarci della gioia di vederci dopo Natale: Hurrah!

Che lo spazzaneve ha finalmente pulito lo spazio sotto casa inclusa la porta del garage e così siamo potuti uscire con la macchina, fare la spesa, e nonostante la nebbia fitta come latte in polvere tornare a casa ad un'ora decente per fare tutto il resto

Hurrah!

Che non ho più altro da comunicare, e passo e chiudo

Hurrah!

domenica 19 dicembre 2010

NEVE, CIOCCOLATA E CANDITI


non mi parlate più di dolci per un pezzetto perché ne ho fin sopra i capelli. 

Nell'ultima settimana in parallelo con Meli abbiamo fatto le scorze di arancia candite. Lui bravissimo ha seguito la ricetta come uno scolaretto, e sono venute fantastiche, io da scienziata pazza ho letto tre ricette (per orientarmi meglio) e poi combinato un bel troiaio mescolando questa e quella procedura come mi pareva. Non sono venute cattive male ma la prossima volta faccio uso della ricetta iniziale. Dovevamo immergerle nel cioccolato insieme ma lui preso da parossismo di Willy Wonka ha fato tutto prima, così ad Arezzo abbiamo fatto solo i tartufi. E meno male perché a mala pena abbiamo finito di fare i suoi.
Per rivendicare le accuse di snobberia e inconcludenza che mi sono state rivolte da altro sito, non c'è stato tempo per farle (e finirle) entrambe e così io mi sono portata a casa la ganache (che non è quella che mettono alla macchina in divieto di sosta ) che è la crema che si ottiene mescolando panna calda alla cioccolata (ganache scopro vuole dire maldestro in Francese e viene chiamata così per il pasticcio combinato da un garzone di cucina che mescolò erroneamente le due sostanze. venendo appellato appunto con il termine "ganache" che così fu battezzata) inattesa di un momento giusto per completare i miei due progetti cioccolatosi.

Ma vedi la crisi mistica del partner di questi ultimi giorni e il dover mettere insieme il suo CV e lettera di presentazione per andare a scricchiare le ossa dei Fiorentini; la traduzione per G che mi tampinava da tempo con il proponimento di venire in Vespa da dilà dei monti per farla insieme, e che ho deciso di fare velocemente prima che facesse una fine precoce per congelamento o caduta in un burrone sulla via del Passo della Croce ai Mori; e la nevicata abbondante che ci è capitata lo scorso Venerdì 17 che ha visto tutti quanti in panico perché ammettiamolo, la neve è bella se dobbiamo andarla a cercare, ma se ci viene a trovare inaspettata, e bussa alla porta quando non è il momento (con le compere natalizie da fare, gli impegni, la gente che deve mettersi in viaggio per raggiungere le famiglie che anelano di riunirsi, chi la vuole?). Però ora che mi sono dimenticata di fotografarla la neve tutt'attorno, sapendo che dovrebbe piovere a breve e lavarla via mi spiace un po' specie di non aver visto Firenze sotto il bianco mantello, come nel video dei ganzissimi snowboarders che vi allego qui (qualcuno decifra la musica e me ne comunica il titolo e l'autore?)

Oltre al paesaggio imbiancato che faceva molto White Christmas la mia procrastinazione era anche compattata dal freddo che fa in casa, laddove ci siamo rifugiati nell'unica stanza con la stufa per evitare di usare tutto il gasolio nei primi due mesi -se va bene- invernali. Quindi tassativo accendere 3 ore al giorno, lasciare la casa che diventi un frigorifero e scaldare solo salotto e cucina, concedendo l'uso di stufa a gas in camera da letto per mezz'ora prima di andare a letto. E' quindi per combattere il gelo casereccio che mi sono buttata a cucinare come una pazza. Come dite? Non torna che parta parlando di procrastinazione e poi dica che ho cucinato come una pazza? Beh si se calcolate che PRIMA di finire scorze e ganache ho deciso ieri di cucinare le ultime mele cotogne che stavano cambiando razza e diventando mulatte/Dalmati facendone una cotognata che sta in piedi da sola, e non contenta buttandomi alla canditura selvaggia di 3 pezzi di ginger (zenzero dai!) che avevo paura mi si rinsecchissero nel frigo. 

 
Ed è così che solo oggi ho affrontato le scorze e la cioccolata prima che passassero le feste insieme alla voglia e all'opportunità di donarle agli amici per le feste ingrassanti.

E' stato un pomeriggio di fuoco, dove ho imparato una cosetta o due sulla cioccolata, questa sconosciuta. Che si raggruma con l'acqua per esempio, e quindi mettere in frigo o freezer le pallette di ganache prima di immergerle nel cioccolato fuso non sempre da il risultato voluto. Ho avuto il classico momento di impasse quando la luce esterna cominciava a morire- i vetri erano appannati già da tempo dimezzandone l'ingresso ma la stanchezza impellente diceva: è ora di finirla...mentre niente funziona più come 20 minuti prima. Avevo già messo da parte una bella dose di cioccolata "impazzita" quando ho deciso di leggere il perché su internet scoprendo appunto che l'umidità, la temperatura della cioccolata e della stanza (frigida e umida per il continuo bollire dell'acqua del doppio bollitore) non aiutavano certo. Avrei dovuto aggiungere burro di cacao per allungare il cacao e renderlo più fluido ma a parte estrarlo dallo stick salva labbra non è che ne avessi in casa.
Mi colpiva come un sito parlasse di allungare con latte quando un paio di ore prima, dopo aver messo un cucchiaino di latte non più nel cacao questo aveva fatto come la besciamella quando aggiungi il latte, appallandosi vergognosamente. Non mi tornava ma è a questo punto di incertezza che avvengono le scoperte migliori, oppure i disastri irrecuperabili. In questo caso ho scoperto per eliminazione che il raggrumio non era dato dal latte bensì dall'uso del cucchiaino per girare il composto. Avevo preso con leggerezza il commento casuale di usare cucchiai di legno, e ora che era rimasta solo quella variabile come ho cambiato utensile ecco che il tutto si è meravigliosamente fluidificato riportando a funzionare anche una parte che - credo- prima appariva  impazzita. E' stato l'equivalente della parabola di Lazzaro, dove la sottoscrittapallette di ganache.

Ed eccomi finalmente a svacco davanti al camino soddisfatta per aver finito,  dopo aver pulito la cucina e gli utensili dalla cioccolata, bevendomi un orzo per riscaldarmi e fare un break. 
Di là, al freddo e al gelo dello studio, tre vassoi pieni di scorzette, tartufi e cluster di cioccolata riempiono il resto della casa con effluvi da pasticceria.
Rimane solo da passare le pallette nel cacao in polvere, impacchettarle, e farne delle belle confezioni.
Domani oramai... ma se prendo quello che ha avuto questa bella idea....!

venerdì 3 dicembre 2010

OLIVE, DOLORE E UMILTà


 Gray's anatomy FIG. 778– 
Vista dettagliata del nervo trigemino, mostrato in giallo.

tornando a noi e le fatiche campestri, ovvero alla raccolta delle olive quest'anno dai 250 alberi che ho preso in gestione dai miei dopo aver fatto un corso di potatura quest'inverno: oliveta a cui ho dato tutta la mia inesperienza ed entusiasmo che mi ha ripagato con circa 700 kg di olive bellissime ma di resa bassissima e due pressate e un olio verde smeraldo e buonissimo e in quantità sufficiente da venderne qualche litro ad amici e conoscenti.

Mi stavo già congratulando con me stessa per non essermi ammalata o fatta male (a parte farmi cadere una scala di legno sull'arco di un piede che è diventato blu ma non si è rotto; coprirmi le gambe e il busto di lividi e indolenzimenti la cui provenienza ignoravo; un dolore all'anca per aver fatto pernio su di essa nello sforzo di non far cadere la scala doppia temendo di essermi strappata legamento o tendine che però salvo zoppicamento iniziale non è peggiorato; e la convinzione ogni giorno di star per prendere influenza o raffreddore da come mi sentivo all'alzarmi o all'andare a letto).

Visto che appunto non era successo nulla mi sentivo invincibile, e l'unico strascico pareva essere un fastidio ai denti che sembravano battere scorrettamente ora, come se alcuni denti fossero cresciuti, o si fossero smossi. Forse li digrignavo la notte (ci stava visto che sognavo olive e olivi) ma anche dopo aver preso il Lexotan non era cambiato nulla, quindi ci ho convissuto. Poi il fastidio è diventato un malessere sordo, ma resistibile, e mi sono detta che avrei chiamato la dentista al ritorno da Firenze e la visita a S. che altrimenti mi avrebbe ripudiata come amica.
La notte da S. mi sveglio e la parte destra della bocca mi fa decisamente male. Dolore diverso, sordo ma insistente. Mi riaddormento e la mattina sto benissimo- Yeah! Annuncio la lieta novella a S. e mi accingo a bere il mio orzo tiepido e come inghiottisco una sorsata di liquido mi parte un dolore che si irradia da canini e molari destri su verso lo zigomo scavando nell'osso.
E non molla.
E non molla.
Sono un po' sotto shock perché questo è nuovo, mai sentito un dolore così. Capperi dev'essere il solito dente sensibile che ho appena fatto ricoprire lo scorso anno, è sempre rimasto sensibile e ora magari c'è qualcosa. Quando mi riprendo dall'istupidimento azzardiamo delle teorie.
S. crede sia gengivite, io non lo credo perché, non sanguino, faccio il filo, mi lavo i denti 3 volte al giorno, e ho appena fatto la pulizia dei denti. Però ogni volta che bevo sto liquido tiepido mi riparte questo dolore sordo -ma vasto- che perdura per un po' ma poi sparisce. Vabbè, quando sparisce parliamo d'altro.
Lascio S. e vado in centro a trovare G. andiamo da Vivimarket a comprare ingredienti esotici: io latte di cocco, lui bulghur e poi andiamo a farci un falafel vicino S. Maria Novella. Come entro nel locale mi parte il dolore peggio di prima, e io sono ammutolita perchè non c'è liquido ora che lo abbia stimolato, quindi ...perché?
Sto 10 minuti in apnea a tenermi la guancia mentre G. mi parla come se fosse un dottore e non capisco cosa dice. Ripeti per favore? Lui ripete esattamente con la stessa terminologia, e io gli faccio: spiegami non capisco. Non è che sono scema ma 90% delle mie funzioni cerebrali sono impegnate a gestire il male. Finalmente mi pare di capire che mi consiglia di prendere un antidolorifico perché il corpo comincia a sanarsi da sé solo se non è in conflitto con il dolore.
Quindi prendo due aspirine e le bevo con l'acqua fresca che ho in bottiglia con me. E l'acqua fresca, che prima mi dava dolore sul dente sensibile, invece fa calare il dolore.
Ahhhhhh!
Sorseggio altra acqua e comincio a respirare.
Si parla quindi di trigemino, dell'operazione del fratello di G e io cerco di immaginarmi come funge il trigemino e perché si è attivato.... La mia vicina di casa ha avuto problemi di trigemino e aveva la faccia mezza paralizzata sarà stata la conseguenza o la causa? Lasciato G vado alla SITA perché si è messo a piovere, e non ho più voglia di vedere la mostra alla Strozzina, perché questo dolore mi ha distratta, ma chiamo il dentista: -
"ciao.. ho poca carica e chiamo da un cellulare (non si offre di richiamare vaff....) ho un dolore pazzesco, sai dove ho fatto il lavoro l'ultima volta? Ho bisogno di vedere Silvia al più presto? Solo Martedì prossimo? ...prima no....? "
No. vabbè. Penso a quando volevo fare il lavoro di copertura del dente sensibile che mi diedero l'appuntamento a due anni dopo e io gli chiesi- ma se uno ha un'urgenza? Ah, se è urgente si fa prima! Beh alla faccia del prima, da Mercoledì a Martedì pomeriggio sono 6 giorni. Vabbè caso mai richiamo quando sono a casa.
Le pasticche mi tengono buona per un paio di ore poi ne devo prendere altre, le ultime prima di scendere dall'autobus e non hanno ancora fatto effetto quando entro in casa con l'idea di provare il Clove Oil che ho da anni per emergenze come questa. E un tipo di Caina, Benzocaina o anestetico locale del genere che si compra senza ricetta in USA per il mal di denti. Nel film il Maratoneta Dustin Hoffman lo usava copiosamente per assopire i nervi irritati dalla tortura del trapano a cui il sadico dentista l'aveva assoggettato per estrargli non ricordo che segreto.
Io leggo l'etichetta, intingo un dito e lo passo sulla gengiva del dente. E....

vedo la luna, le stelle, Caino, le frittelle;
Plutone, e i pianeti "veri";
una Supernova,
la Cometa di Halley,
Meteore e Meteoriti senza capirne la differenza,
buchi neri e di vari altri colori...

e in quell'abisso di dolore mi rifugio a tentoni nel posto più intimo che a uno rimane una volta fuori dal grembo materno, e cioè il letto. E li la mia barchetta sale e scende per le valli e montagne dei marosi del dolore che mi sconquassa la faccia.

-Penso: i dolori del parto devono essere di questa intensità salvo che li senti in tutto il corpo. Questo è più vicino al cervello. Come diceva Bill Cosby, è come se ti prendessero il labbro inferiore e te lo passassero sopra la testa a coprire le orecchie e la nuca, e deve avvicinarsi di parecchio la descrizione salvo che il dolore di stiramento della pelle dev'essere differente. Beh grazie al cielo non ho voluto aver figli.

-E penso: granuloma? Ascesso no perché non ho febbre e le gengive sono ok. Ma se era il dente la causa del male questa Caina avrebbe dovuto neutralizzarlo per lo meno un poco visto che mi ha addormentato parte del labbro e della lingua che ho toccato con il liquido... Allora che cos'ho? Cancro all'osso mascellare che ha preso piede e finalmente si sta manifestando in tutta la sua iniziale forza?  Ora dovranno scavarmi chirurgicamente e togliermi mezza faccia come a Roger Ebert, rendendomi peggio di Elephant Man, perché alla fine un Elephant Woman è sempre inferiore ad un Man...

-E penso più seriamente: se ci fosse una pistola in casa la tentazione di usarla sarebbe grande.
Non scherzo, il dolore è tale che la razionalità sparisce e rimane solo l'istinto di fuga, il bisogno primitivo di cessare, terminare, finire, concludere, in qualsiasi modo possibile il persistere del dolore.

-E penso a mio zio che ha patito le pene dell'inferno prima di morire del cancro che lo divorava dentro e alle bestie ignoranti che in vesti di preti e moralisti impediscono a chi soffre una fine umana e indolore che riservano invece alle bestie.

-E penso all'immagine di Boyd, e al forellino che si è fatto nella tempia con la pistola da ufficiale, decidendo lui come dove e quando, per non dipendere da nessuno o non soffrire.

-E penso che però non sarebbe una bella vista da far trovare a Skip al ritorno a casa, o alla reazione dei miei, che sono ancora vivi e a cui vorrei risparmiare il dolore della perdita di un figlio.

-E penso che non ho la pistola e quindi il problema non sussiste, che forse è una fortuna, ma so dove trovarla avessi bisogno....e magari se mi facessi dare di nuovo una lezione di come usarla visto che la volta prima mi ripugnava troppo per prenderla in mano....

E piano piano ritorno a galla e il dolore si fa più sopportabile, e questa massa di carne e sangue torna ad essere una creatura senziente che va sul pc a vedere se si tratta di Trigemino (non pare, il dolore trigeminale non è sordo e duraturo bensì elettrico istantaneo e nello stesso posto ripetutamente- anche se viene definito "malattia del suicida"....) o di Granuloma (not) o Ascesso (nemmeno) e si ferma li perché la ricerca diventa troppo complessa per l'energie rimaste.

Passo una notte a prendere aspirine ogni 3 ore, e al mattino distrutta chiedo a Skip di chiamare lui la dentista, perché lui è il loro paziente d'oro, colui che obbedisce alla lettera agli ordini di queste Dominatrix che quindi non possono rifiutargli un favore, mentre con me c'è sempre stato lotta per determinare chi è l'Alfa female del branco e i bracci di ferro che ne risultano, cortesi ma passivamente aggressivi, non aiutano in situazioni come questa.... nella mia paranoia mi sabotano per vendicarsi della mia disubbidienza e individualismo.

E Skip ottiene l'appuntamento: venga subito e io parto senza esitazione, senza paura perché tutto è meglio di questo stato: taglino, cavino, trapanino, devitalizzino e che mi infilzino con aghi e sostanze chimiche, ma mi tolgano da questa miseria.

E dopo aver fatto dei test per vedere se le tasche gengivali erano a posto e aver soffiato aria in punti che in altre situazioni mi avrebbero mandata ad arrampicarmi sui muri (sono pronta a saltare ma sento appena fastidio), dopo aver escluso gengivite, carie, infezioni e orrori simili, passando le dita parallelamente sulle gengive e lungo il setto nasale e premendo alla radice del naso viene determinato che si tratta di un problema che mai avrei potuto identificare perché non ne ho mai sofferto prima.

sinusite.


WOW.
WHO KNEW?

mercoledì 20 ottobre 2010

TOO LONG : A LIST


woah, è passato TROPPO tempo dall'ultimo post, e molta acqua (e con lei sabbia, pesci, tronchi, foglie e vogatori) sotto i ponti.

L'ultima volta che ho postato qui era la prima volta che il blog veniva pubblicato sulla rivista Paperblog e da come ho immediatamente smesso di scrivere sembra che lo abbia fatto per fargli un dispetto, per timore di confrontarmi o che altra bischerata del genere. niente di tutto questo, semplicemente è arrivato l'autunno che per me storicamente, è un 'aggregatore-addensatore" di avvenimenti e cose da fare. 
  • Iniziata un'attività di cui scriverò più chiaramente più avanti, quando potrò farlo. Questo ha comportato un notevole impegno per la preparazione del programma 2011, la stampa della brochure e la preparazione dle sito. (wink wink, vi faccio incuriosire?)
  • Scelta una mia foto di vista su città che verrà disegnata da Matteo Pericoli per il numero di Novembre di Bell'Italia. Davvero! Questo ha voluto dire andare a rifotografare la veduta nella mia vecchia casa di Arezzo visto che da 4 anni sto altrove, ma mi diverto a pensare al celebre disegnatore/architetto che sta lavorando sulle mie foto...
  • Conosciuto Walter, un pittore locale con cui è iniziato un rapporto di scambio-aiuto-tecnico. Io l'aiuto a far conoscere il sito specialmente in concomitanza della mostra di Firenze (che finirà a breve quindi affrettatevi ad andarci) e lui mi insegnerà a dipingere.
  • In anticipazione con la futura attività dipingereccia, l'amico Bobo mi ha dato un compitino di disegno per riscaldarmi un po' il polso e la manualità. Peccato che invece di dirmi "coccio" ha detto bottiglia e mi sono impelagata in un disegno difficilissimo. Che non è venuto male ma insomma...
  • Al contempo sto seguendo un blog del New York Times che da istruzioni tecniche di disegno per gasarmi un pochino insomma, però al solito mi dedico poco tempo per praticare, è tutto solo di testa.
  • Aiutato amico Irlandese -su cui ho scritto in precedenza qui- a trovare una casa in cui non piovesse dentro, provvista di riscaldamento e servizi funzionanti e al contempo mia zia a trovare un inquilino per l'appartamentino adiacente che le posa dare una mano in caso di neve o problemi vari che la sua proprietà nei boschi le crea inevitabilmente. Nel creare il felice connubio prego la buona stella che questa unione funzioni perchè sennò ne sentirò di belle in stereo.
  • Sempre per il tipo sopra tradotto il testo per il suo nuovo sito DECK-IT.EU.  Lo metto nel caso qualcuno abbia bisogno di una persona veramente specializzata, in gamba e simpaticissima in grado di disegnare/costruire di sana pianta/installare decks in legno per giardini. In cuor mio mi auguro che Pippi non mi faccia notare qualche inconsistenza di lingua nella traduzione.in Italiano.. ;-)
  • Tolto i succhioni a 2/3 dell'oliveta, preparandola al raccolto. Devo ancora tagliare l'erba una volta e poi spero di poter iniziare a raccogliere. Se ci sono volontari che vogliono dare una mano sono benvenuti.
  • Finito un libro sul Buddismo spettacolare che mi ha dato un casino di cose da pensare e letto immediatamente dietro LA SOLITUDINE DIE NUMERI PRIMI in tempo da record. Iniziato Domenica alle 9 e finito la mattina di Lunedì alle 10. Nel mezzo ho anche fatto una passeggiata, cenato da amici e dormito una notte ma le prime 6 ore di lettura sono state continue. Caruccia la storia ma dopo che lo chiudi ti dici: sono arricchita? e la risposta è no! Peccato, un altro scrittore Italiano che delude.
  • Sono completamente in pari con i New Yorkers nonostante la lettura di libri! Evviva! questo forse la ragione del perchè non ho avuto tempo di scrivere nei blog? Tutto non si può fare e quindi da qualche parte la coperta lascia qualcosa di scoperto.
  • Ho fatto la cotognata ma seppure sia venuta buonissimo non mi si solidifica abbastanza per tagliarla con il coltello. Forse perchè ho messo il limone nell'acqua di cottura? Forse perchè non ho messo pari quantità di frutta e zucchero? Boh? Comunque è uno schianto e per di più non ho fatto la faticaccia di pelare le mele: cotte nella pentola a pressione ed è passato tutto benissimo.... e la pectina nella buccia aiuta a solidificare il composto. 
  • Avevo una quantità industriale di meline che cadevano dall'albero che solo ad Ottobre mi sono stufata di lasciar marcire sul prato o nella compostiera e ho deciso di farne Apple Sauce, un passato di mele che si conserva sotto vetro ed è buonissima da mangiare con maiale, con lo yogurt, sul pane, come dessert, e per darlo ai bimbi piccoli ovviamente, senza dover ricorrere agli omogeneizzati. Processo simile a quello delle cotogne, un sacco di lavoro ma ho solo una cassa di mele rimaste, la vuole qualcuno?
  • Mi sono anche cimentata a seccare le foglie di salvia che non osavo buttare dopo aver potato radicalmente il cespuglio che era cresciuto spropositatamente in giardino. Ne ho fatto dei mazzetti appesi a seccare sotto la lavagna in cucina, ne ho fatto seccare in foglie sparse che ho una mezza idea di usare come cuscinetti fragranti per ... boh, avete qualche idea?
  • Fatti i lavori alla stufa finalmente che ora funziona, spero- il tempo darà il verdetto finale. 
  • Infine, Inie, Minie, Maney, Moe, le mie adorate tarte, dopo aver passato gli ultimi giorni a cercare il poco sole che cadeva in giardino come prigionieri al muro prima della fucilazione, (e mi faceva anche sorridere non poco a vederle così sull'attenti al muro..) sono state portate in casa, laddove, chi sotto terra nella cassetta, chi sotto il mobiletto del telefono avvolta tra i fili, sono andate felicemente in letargo.
Beh, ovviamente non ho elencato tutto quello che ho fatto, ma solo le cose più grosse. Perché l'ho fatto? Per mettere ordine in capo e confermarmi che non sto perdendo tempo, buttando via la mia vita in cose inutili forse? A chi ti fa domande del genere uno può solo fare due cose: una è rispondere fermamente e sicuramente e poi passare velocemente a pensare ad altro senza dare troppo peso alla questione, l'altra, che è quella come faccio io, è portare la domanda nel fondo di se stessi e rigirarla come un nocciolo insputabile, anche a scapito di certe certezze, laddove il significato delle cose  perde di ovvietà e inevitabilmente si incrina alla pressione creata dall'analisi più approfondita. 
 
Per cui fatemi il piacere, non fatemi certe domande! 

mercoledì 1 settembre 2010

LUCI ED OMBRE

photo copyright Niki Ghini all rights reserved

"forse sulle spiagge estive c'è troppa luce, così finisce che dentro di me rimane solo ombra"

cito Andrea Pomella nel post La luce interna che mi occorre per vivere, un autore la cui scoperta  varrebbe già da sè l'iscrizione da scrittrice free-nelverosensodellaparola-lance alla rivista Paperblog. Questa rivista è in realtà un aggregatore di contenuti e il mio modesto contributo finirà in qualche sua rubrica da definire mentre spero accrescerà la audience a questo blog. Non ho che riconoscenza e gratitudine per i 4 fedeli che mi seguono da sempre ma vorrei ampliare il giro, avere più feedback altrimenti questo diventa un esercizio troppo intimistico, che posso ottenere semplicemente spedendo le pagine del mio diario ai 4 adepti, via e-mail. 

Tornando alla frase di Pomella (che faccio lo chiamo Andrea? Signor Pomella? Yo Andy, my man...?) , i suoi post mi fanno l'effetto di un cazzotto nel plesso solare. Ammiro prima di tutto il suo stile sintetico, come riesce a sintetizzare il pensiero e renderlo con temini precisi e ben scelti, non troppo ricercati da farlo passare da phony (come direbbe il giovane Holden) ma dove si vede cultura e possesso del linguaggio. Una capacità di sintesi e linearità uìinvidiabili per una come me che,  come sapete voi che mi leggete da un po', a me non riesce proprio. 

L'altra cosa che mi fa tornare a leggere a ritroso il suo blog è la capacità di creare atmosfere che mi risvegliano il ricordo di malesseri passati, angosce da tempo superate che però stanno in agguato pronte a ripresentarsi alla minima sollecitazione.  Ma anche la sua capacità di saziare con prelibati bocconcini di  parole, immagini e contenuti il mio cervellino affamato di stimoli.

Il punteruolo  di Pomella ha scalzato un paio di questi ricordi... 

In "Miss Qualcosa" la spiacevole sensazione di essere un'alieno, di non condividere le passioni della maggioranza delle persone che mi circondano, con l'insicurezza che deriva dal domandarsi: ma sono umana? E se sì perchè non riesco a partecipare alla vita senza essere spettatrice di me stessa?  Una volta questo era sorgente di molto soul-searching e di notevole ansietà mentre il  passar del tempo e l'inesistenza di una soluzione al problema mi hanno portata a tramutare un'apparente carenza in un'apparente forza; accetto che sono difetti e che sono miei e cerco di vendere al prossimo il prodotto finito sperando che non ne vedano solo le crepe.  Cioè, sarò una snob, ma certe cose mi piacciono e altre no.  Ma non c'è niente di male a pensarla differentemente, se non si impedisce la diversità.

In "Qui non c'è mitologia" mi ha risvegliato la dolorosa sensazione data da un pugno immaginario che  ti chiude l'esofago, sensazione che insieme a quella di averlo pieno di farfalle e gechi ha perdurato per mesi dopo la lettura de La Nausea di Sartre. La descrizione dell'ambiente in cui si risveglia il narratore (è Pomella? O è' un personaggio immaginario, l'eroe di una mitologia inesistente?) mi fa venire in mente gli appartamenti borghesi di certe conoscenze: i pavimenti di graniglia che rimbalzano i suoni nel vuoto di androni illuminati da luce sterile e fredda che cade dall'alto dei soffitti.  Luoghi privi di ombre e quindi  di profondità, mancanti di texture, della materialità delle cose che solo la luce radente o la pozza di buio dietro al dettaglio illuminato, fa risaltare. Questa luce da ristorante Fast Food mi fa rabbrividire persino nei racconti. I dettagli di tutto quello che è fisico nel racconto mi guidano verso un annichilimento emotivo che riconosco con paura: non voglio, non posso riviverli, me ne basta l'intimazione per farmi sentire viva e in salvo, reduce e scampata allo squallore. Per farmi aggrappare come una naufraga all'idea che la letteratura di cui l'autore teme essere estraneo, se illuminata in modo giusto è una gloria per gli occhi e per l'anima.

Luci ed ombre, Ying e Yeng, la dualità in ogni cosa, gli opposti che si completano.  Ecco un po' di ordine nel caos che ci circonda. 

E ora vediamo come catalogano questo post... 

giovedì 12 agosto 2010

IL TAGLIO DI CAPELLI: UN OPERA BUFFA IN 2 ATTI

copyright niki ghini all rights reserved

tenetevela cara altrimenti farà come la mia che ha chiuso baracca e burattini e se n'è andata a lavorare...
nientepopodimeno che in Arabia Saudita. Ed è vero che io andavo a tagliarli a Firenze quando stavo ad Arezzo, e poi ad Arezzo quando stavo a Poppi ma andare a Riyad (se è li che è) quando ho bisogno di un taglio mi sembra veramente eccessivo! 

Beh io ho aspettato a lungo prima di decidermi a provare quello nuovo che mi avavano raccomandato, sperando che capitasse qualche cosa che mi illuminasse sul da fare, ma oggi ho dovuto cedere e provare.

Un buon parrucchiere per me è non solo una persona che ha la capacità tecnica di farti sembrare  a posto, più giovane, più avvenente, rinnovata e pronta ad affrontare qualsiasi cosa, ma è anche una persona che sa capire cosa proporti e anche cosa non imporre in merito a tagli, acconciature, prodotti da usare su di te. 
Questo perchè è intelligente e capisce che: 

1) faresti ridere i polli altrimenti
2) non si confà con il tuo stile di vita
3)dovresti venire a rimetterti la testa a posto ogni poco e tu vedi il parrucchiere ogni 6 mesi quando proprio non puoi farne a meno. 
4) è inutile rileccarti tanto perchè tanto appena puoi ci metti le mani dentro (ai capelli)

...e soprattutto non ha le frustrazioni da genio incompreso che hanno certi parrucchieri che devono prima servire il proprio egotismo piuttosto che i desideri del cliente.

Atto primo: lo shampoo. 
Un buon shampoo deve fare un massaggio cutaneo tale che a parte farti gemere dal piacere deve dare l'impressione che le cellule del tuo cuoio capelluto si siano fatte una sessione di Shiatzu e che i tuoi capelli siano cresciuti di 5 millimetri solo per l'apporto di nuovo sangue nei follicoli. Quello di oggi è stato il peggiore della mia vita. Secondo me quella ragazza era vergine, (parrucchieristicamente parlando) non aveva nessuna confidenza, come avesse paura di toccarmi. A parte il non riuscire a regolare l'acqua, che poi le ho chiesto di lasciare fredda, la cosa peggiore è che passava le mani sulla testa senza infilare le dita fra i capelli per fare schiuma e massaggiarmi,  spargendo invece l'acqua a lungo sui capelli con carezzine a palmo piatto come se lo shampoo fosse uno sgrassatore a forza industriale che agisce senza far fatica. Dopo due insaponature ero pronta ad urlare o altrimenti ficcarmi le mani in testa e farmelo da me. Ho pazientato per non offendere la novizia fino a che mi ha messo in testa un velo cotonoso e elastico che tutto aveva salvo la consistenza di un'asciugamano e con quello ha cercato di assorbire l'acqua eccessiva, quindi non contenta con un lembo fradicio ha bagnato bene bene intorno alle orecchie dove era asciutto. Quando goffamente ha cercato di avvolgermi la faccia ho esaurito la pazienza e chiedendole il permesso ho preso quella povera scusa per un asciugamano e l'ho avvolta a mo' di turbante.

Atto secondo: il taglio. 
Ho spiegato che volevo una specie di carrè con la divisa laterale che creava un  ciuffo sulla mia sinistra: più corto dietro che davanti ma non "asimmetrico" (come viene definito il look per discotecare e cubiste che vedi sulle modelle nelle riviste di settore) e un po' sfilato in modo da  essere a posto anche se non lo asciugavo con la spazzola.
Lui con mano pesante e sbrigativa ha tagliato dietro senza tanto layering, e in un balletto aveva finito. Salvo che era pari davanti e dietro, e quindi gli ho fatto ritoccare il dietro che fosse leggermente più corto. Fatta la riga nel mezzo per tagliare il davanti gli ho dovuto ricordare che volevo la riga da una parte, al chè lui ha insistito che comunque si taglia  nel mezzo anche se poi si porta il capello alla Veronica Lake. Visto che la mia ha sempre tagliato impostando prima la riga ho insistito che tagliasse nell'altro modo rispiegando quello che volevo. Allora eccolo partire con la solita pippa del "sono 20 anni che taglio capelli  blah blah..." - avrei dovuto reiterare che sono 40 anni che mi faccio tagliare i capelli blah blah e quindi lo batto 2  a 1.  Era ferreo sul bisogna tagliare nel mezzo sennò una parte viene più lunga dell'altra - Duuhuuh!? come direbbe Homer Simpson - non era esattamente quello che volevo? 
Insomma, non c'è stato verso, ha voluto fare di testa sua (ho notato che è una prerogativa dei parrucchieri uomini quella di fare l'artiste) e io mi sono dovuta sottomettere perchè, come gli ho detto un pò seccata, le forbici le teneva in mano lui!

Alla fine è venuto un carrè dritto, asimmetrico solo nel senso che di fronte, riga in mezzo i capelli non hanno comunque la stessa lunghezza. Li ha asciugati ben bene sempre con riga centrale e solo dopo che ha finito gli ho detto -di nuovo- che la riga la volevo da una parte e visto che c'era,  asciugati in avanti che coprano un po' la fronte, invece che all'indietro come se ci fosse il Libeccio nel salone. Dopo aver cercato di ottenere l'effetto con la spazzola gli ho suggerito che se voleva che il ciuffo rimanesse tale senza l'uso della lacca effetto casco forse era il caso di sfilarli un pochino. Quindi invece di ricoprirmi con la mantellina che aveva rimosso prima di asciugare,  mi ha fatto tenere in mano  a mò di vassoio la carta che si avvolge attorno al collo e ha dato una sforbiciata dritta ad un bel quantitativo di zazzera, facendogli poi una seghina con la forbice a denti radi (dimostrando quindi che ne possiede una) e voilà mi ha appoggiato quella ciocca monca su un lato della faccia come tocco finale.  Ta-da!

Ovviamente ora invece di avere un ciuffo come lo volevo ho i capelli tutti tagliati a lunghezze differenti, ma non sfilati come si deve ma a ciocche. L'unica consolazione è che anche con un carrè dritto e malfatto uno sopravvive senza offendere fino al prossimo taglio, ma l'esperienza ha certamente sottolineato quanto mi manchi la mia ex parrucchiera. Se uno deve fare un paragone fra i due, il taglio di oggi è come vino Tavernello  a confronto con quello della ex  che è un Chateau Pétrus francese: sono entrambi vini e si bevono, ma che differenza! 

Continuerò la mia "recherche du coiffeur perdu " ma di sicuro la prossima che provo sarà donna.

PS della serie: se stai zitta è meglio. Pare che il taglio da me tanto deriso sia invece un successo. Normalmente non nota nessuno il cambiamento, ma tre familiari su 3 mi hanno complimentata oggi - che siano seghe tutte mie allora? Lo sapremo al prossimo shampoo e messa in piega fatta in casa!!

venerdì 30 luglio 2010

MAL DI TERRA

Copyright Niki Ghini all rights reserved


nè di mal d'auto, bus o di mal di mare, ma di mal di terra sì che soffro.

E chi lo sapeva, non mi era mai capitato in questo modo. Seppure fossi stata altre volte in barca, dormendoci come stavolta, persino scendendo meno a terra di come ho fatto. Le due ore di passeggiata fatte sulla spiaggia avrebbero dovuto stabilizzare la coclea, quell'ossicino dell'orecchio a forma di  guscio di lumaca che è responsabile del nostro equilibrio.  Invece no.

Sarà stata colpa di tutte le schifezze per l'allergia, che sto prendendo o che il mio corpo sta cambiando per l'età. Fatto sta che Lunedì mi girava la testa come una trottola e avevo anche un bel po' di nausea. Bell'affare. 
Ma partiamo dall'inizi: lo scorso weekend sono andata a Lido di Camaiore con un'amica che voleva vedere un concerto - a me non interessava per cui lasciata lei in prima fila sono andata  subito ad infilare i piedi nell'acqua, calda come un brodetto di pesce. Ma era acqua di mare e seppure di Versilia, neanche noi snob del mare ci si sputa sopra. Su e giù sulla battigia a vedere i kite surfers che appesi al filo si facevano trascinare sulle ondine Mediterranee... buffo dopo aver visto i surfers in Hawaii e in California cavalcare onde enormi... ma uno fa con quello che ha, no? 

Poi un po' zingara con i piedi sabbiosi e i pantaloni bagnati (of course) a passeggio sul lungo mare fra baracchini che vendevano chincaglierie varie per quelli che, in vacanza, hanno soldi che bruciano nelle tasche:  caldi caldi che prima li spendi tutti meglio stai. Un gran via vai di gente ancor prima di cena, che si è andato via via infittendo con l'arrivo del buio. Accertatami che l'amica non avesse bisogno di nulla, e avendo deciso che di cenare da sola ai prezzi da vacanza non se ne parlava nemmeno, mi sono comprata una birra carissima e trovato da sedere sullo scalino di una scultura che era nel bel mezzo della passeggiata. Ho tirato fuori la macchina fotografica, mi sono messa in cuffietta i Wilco e sono entrata nel groove della serata. 
La gente arrivava come le onde, a gruppi fitti che si diradavano  ritmicamente per poi infittirsi  di nuovo.  Ho iniziato a scattare con la macchina fra le ginocchia, senza guardare lo schermo salvo per accertarmi di tanto in tanto che fosse posizionato bene. Vedevo quelli che arrivavano e quando erano in un certo punto scattavo, decapitando volutamente le teste e inquadrando invece le panze, gli shorts, le gambette nude, i piedi, i cani e i passeggino con i bambini. Presto ho cominciato a percepire un ritmo, un rituale, una danza tribale o processione in omaggio agli dei delle ferie. E guardando lo scattato mi accorgevo che questo passatempo stava diventando fonte di immagini speciali, che avevo trovato una vena aurifera incredibile. I bambini in carrozzella erano gli unici complici, e se non proprio complici, le vittime partecipi e curiose che guardavano in camera, che mi squadravano un po' inquisitivi, un po' come per sfidarmi. Gli adulti, invece presi dal guardarsi e confrontarsi, dal parlare e gesticolare, dal volere e desiderare, passavano senza degnarmi di uno sguardo salvo la rara eccezione che mi guardava un po' dubbiosa, un po' chiedendosi : ma questa quà che fa, fotografa me? E perchè? 
Ero inesistente, invisibile, ero la statua dietro di me, bronzo o ferro distorto che si innalzava come la prua di una nave dietro la mia schiena, che fendeva le acque umane che arrivavano incessanti. Devo aver fotografato per un'ora, forse più, oltre 200 immagini. Pensavo che la bellezza che avevo visto  nel controllare le immagini scattate fosse solo l'effetto del'euforia da birra e musica,  da Sabato sera lal mare, da sola, libera, senza dovere niente a nessuno. Ma il giorno dopo, e quello dopo ancora le visioni a mente lucida hanno confermato la prima impressione. Io che non amo la gente, che non la fotografo, avevo trovato un modo di farlo. E avevo un progetto in mano, uno da poter presentare magari a Portfolio Italia 2010 di Settembre al Centro di Fotografia, chissà.

E poi quando era ormai ovvio che avevo esaurito la vena, in spiaggia a fotografare la luna, e poi a regalare un palloncino ad un bimbo che stava per fare le bizze, mettendo i poveri genitori in una situazione che non avevo previsto (uffa, ogni azione anche quella più disinteressata ha le sue inavvertite conseguenze) e alla fine del concerto un'altra birra stavolta in compagnia, due chiacchiere prima di rimettersi in macchina per arrivare alla barca alle 3 del mattino, dove saliti a bordo fare uno snack con schiacciata, salamino e formaggio e  poi via in cuccetta ad abituarsi al rollare incessante, al cigolio dalla gomena d'ancora e allo sciaguattio del mare. Laddove non ho dormito profondamente ma ad ogni risveglio realizzando dov'ero, ero felice.  

mercoledì 21 luglio 2010

IL BUDDHINO - OVVERO - UNA STORIA D'AMORE



 

questo è Hotai, l'immagine del Buddha Cinese che adoro. E' un tipo, lui: è un' elfo, una satirello, un saggio e un buffone, l'immagine impersonificata della gioia e del menimpippismo del mondo. La cosa buffa e sorpendente per me è che ogni volta che lo guardo ha un'espressione diversa, un essenza nuova da quella precedente.


oggi per esempio, l'ho preso per fargli nuove foto, perchè quelle che avevo mi convincevano poco. L'ho guardato in faccia e pareva guardarmi negli occhi con quel suo bagliore di malizia come per dirmi: -sapessi le cose che ho visto.... e nonostante tutto, che ridere!- mi sono sentita di condividere questa irrefrenabile allegria con lui, e gli ho detto: -Hotai come sei polveroso, vieni che ti spolvero - e visto che c'ero gli ho dato un bel bacio sulla crapa pelata perchè lo sento la personificazione di uno spirito che è vivo e quindi non mi sento scema a parlargli o baciarlo, come farei normalmente (mica sono così sonata, voglio dire!).
E guardalo lì... mi fa sentire meglio sapere che esiste. Specie mentre sto leggendo la storia del Buddha storico, Siddhartha Gautama  o anche Shakyamuni nel libro di Pankaj Mishra AN END TO SUFFERING - The Buddha in the World, che mi dice cose che un momento mi esaltano e un'altro mi deprimono , cangevoli  come è la natura delle emozioni dell'uomo, a conferma proprio dell'andamento fluttuante delle emozioni e dei pensieri che ci condannano all'infelicità.
Ma non voglio parlare di questo. Voglio rimanere con Hotai e il pensiero di come è entrato nella mia vita. E' stato amore a prima vista. Davvero. Eravamo responsabili della casa dei miei suoceri via per il weekend quando ci fu l'incendio di Oakland, nel 1991, e quando vedemmo la nuvola di fumo che si alzava nella direzione della loro casa corremmo a salvare il loro cane e le cose di valore. La corsia autostradale che portava sul luogo era chiusa al traffico mentre sull'altra c'era un esodo di macchine e camioncini carichi di gente e roba, ma conoscendo le vie laterali riuscimmo adentrare nei boschi della zona. Sembrava di essere sul set di Apocalypse Now con il fumo nero che copriva il sole rendendolo grande come una pallina da golf rossa e gli elicotteri che volavano bassi ingiungendoci con il megafono di abbandonare le case. Una volta dentro dovevamo decidere cosa prendere, tenedo d'occhio la cortina di fumo per poter scappare se il fuoco si avvicinava. C'erano molti oggetti orientali nella casa inclusa la collezione di Netsuke giapponesi che provvedemmo subito a mettere in macchina insieme al cane ed altra roba.  E lì guardandomi intorno freneticamente per valutare cosa prendere, ecco che ho visto Hotai che mi guardava, sereno e felice nonostante le circostanze, la cui presenza vibrante mi ha detto, semplicemente: PRENDIMI. E io mi sono avvicinata e l'ho guardato in faccia e ho saputo che non avrei potuto assolutamente lasciarlo - e mi sono innamorata perdutamente di lui. 

Ma al tempo non lo sapevo questo, capivo soltanto che non potevo lasciarlo.  Come anni dopo non potei lasciare la foto del monaco Tibetano Tenzin, i cui studi finii per sponsorizzare. (ma questa è un'altra storia.) E' dopo, quando ho dovuto renderlo ai proprietari, quando ogni volta che lo vedevo mi si alleggeriva il cuore, quando andavo a cercarlo per carezzargli il pancino bisbigliandogli paroline dolci, è allora che si è consolidato il mio amore. Quando cambiarono casa non lo vidi per un po', ma quando morì mio suocero,  la vedova mi regalò Hotai, che non amava e aveva relegato in garage (hoy! Ecco dov'era!)  ricordandosi che mi piaceva, e mi diede l'unica eredità a cui tenevo veramente.  Oh, come mi fece felice! Ricordo come avvolsi il suo contorno tondo e il suo piedistallo teneramente nei miei vestiti, per metterlo in valigia a portarlo a casa in Italia, con il timore assurdo che mi fermassero alla dogana e mi vietassero di portarlo via. Non ho mai fatto stimare il pezzo -per me ha valore la sua vitalità, la sua presenza- ma essendo senz'a dubbio un pezzo non comune -si vede dai dettagli che oggi giorno trovi solo in pezzi di antiquariato- non avendolo mai fatto valutare non so il valore che abbia realmente. Ma non è certo quello che da significato alla scultura.  

A volte mi domando chi l'avesse prima, che storia abbia. Immagino di aver dato ospitalità ad un genio di qualche casa, così come mia madre ha dato ospitalità al genio della famiglia Levi, personificatosi nel parafuoco di vetro colorato con l'insigna del nome e una brocca che versa dell'acqua, che abbiamo da sempre in casa, oggetto che lei trovò da qualche parte e che le fece provare il bisogno di proteggerlo per qualcuno che aveva dovuto abbandonarlo. Anni fa non so come ritrovò i discendenti di questi Levi a cui offrì di restituire il pezzo che sorprendentemente non erano interessati a riprendersi. 
Allo stesso modo io immagino la famiglia Cinese di Hotai: di un certo rango per possedere un tale oggetto, per ragioni politiche probabilmente dovette scappare dalla Cina rifugiandosi in America. Magari dovettero lavorare come coolies nella costruzione di strade e ferrovie del continente Americano ,oppure come cuochi o lavandai per i villaggi che nascevano come funghi intorno alla minere d'oro della Sierra Californiana, fino ad arrivare a San Francisco, dove andarono a vivere nelle avenues, vicino all'oceano, da dove guardare verso la Cina natale dall'altro lato del Pacifico. 
E proprio nelle avenues, sul bordo del Presidio e fra le comunità Cinese e Russa, stava il padre di mio suocero, che era medico e deve aver curato molti Cinesi e Giapponesi, persone che magari furoeno costrette a pagarlo con i pochi  oggetti di valore rimasti, mementi tramandati da generazioni e trasportati in un bandolo di seta per nasconderlo agli occhi di quelli che potevano approfittarsi del loro isolamento sociale.  E quindi i netsuke di avorio, di infinite forme e misure; i dipinti su pergamena da muro, con i finiali in legno e i pesi di ceramica per tenerli distesi;  la cassapanca di legno intagliata e laccata rossa che fu poi verniciata di bianco e finì per sparire, (dove sarà finita? a chi l'avrà venduta la vedova che non ama le cineserie?) i vasi, tappeti e chissà cos'altro che sono passati di mano e di cultura. E la storia continua...


Dovrò trovare un degno erede per Hotai, qualcuno che ne sappia apprezzare lo spirito. L'ho appena guardato qui accanto a me e mi è partito un sorriso di quelli che ti fanno muovere gli orecchi, un sorriso pieno e grato che parte dal cuore.

giovedì 15 luglio 2010

COME ESSERE NOSTALGICI SENZA ESSERE PATETICI - LEZIONE # 1


Lo Zenzero ha colpito di nuovo. E' in pratica l'unico attorno a me che sistematicamente scrive cose disarmanti, che ti lasciano a nudo. Mi piace un casino come riesce ad arrivare al sodo delle cose, specie quelle infantili. L'ultimo post è magnifico, ti fa tornare all'età di ragazzino, oppure ti sempra di vedere un film che rappresenta quel periodo.

A me ha ricordato due cose.

1) Che quando ero alle medie mi imposi sui ragazzi per giocare a palla a volo. Non so perchè ma i ragazzi sembravano fare sempre cose più interessanti. A scuola mentre noi cucivamo stupide presine di feltro loro con una pila e del filo di rame costruivano dei congegni che permettevano di tagliare la plastica dei pennarelli come se fosse burro - ganzissimo!

Essendo l'unica femmina che provava ad inserirsi fra loro non fu facile,  e presi una caterva di nocchini. Quando si passava la palla in cerchio se la tiravo male e cadeva a terra erano nocchini, riservati solo a me perchè quando la facevano cadere loro bastava un'imprecazione tipo "Cece, sei un bischero!". Era per scoraggiarmi, mandarmi via, era ovvio. A volte le ragazze chiedevano di giocare con loro e allora si faceva che chi la faceva cadere veniva eliminato e i ragazzi schiacciavano la palla addosso alle ragazze per eliminarle subito. Io in qualche modo restavo in gioco più a lungo, a volte più di molti dei ragazzi. Poi quando facevamo delle partite dietro la rete di filo di ferro, pigliavo i nocchini ugualmente, però facevo parte di un team e me li davano per incentivarmi ad impegnarmi di più. Non ero molto alta e poco atletica ma mi davo da fare. Ad un certo punto qualcosa è cambiato. I nocchini li prendevo sempre, tanto che l'abbassarsi per evitare le braccia dei compagni quando la traiettoria della palla era ovviamente sbagliata, era diventato un tic automatico, ma mi accorsi che i compagni provavano un qualcosa simile al rispetto. Ero stata accettata come un ibrida parte del gruppo.  Ricordo che questo mi rese molto orgogliosa, avevo vinto un gran battaglia. Questo però mi rese una snob nei confronti delle ragazze.
Primo passo sulla strada del mio diventare quella che sono diventata.

2) Quando ci trasferimmo in Piazza dei Mozzi, ero oramai in terza media, e ancora ero socialmente un paria, vedevo dalla finestra della camera dei miei il giardinetto sul lungarno di sotto, accanto alla chiesa Anglicana. Ogni tanto ci si trovavano dei ragazzi che venivano da via dei Neri o Via S. Niccolò per tirare 4 calci ad un pallone nella striscia asfaltata parallela tra il muretto del giardino Torrigiani e la siepe di bosso che delimitava il perimetro del giardinetto. Li convinsi a farmi fare il portiere e visto che nessuno lo voleva fare mi accettarono in quel ruolo. Sull'asfalto non si aspettavano certo che mi buttassi a corpo morto per fermare il pallone ma qualcuna la fermavo. Erano gli ultimi momenti prima della trasformazione da crisalide a farfalla e quindi durò poco. I ragazzi sparirono deviati da studi e attività lavorative familiari. Io cominciai a leggere seduta sulla spalletta dell'Arno nella speranza che qualche ragazzo si fermasse per fare amicizia.

Non sono certa di essere riuscita a non essere patetica, se guardo indietro mi sembra che tutta la mia infanzia lo fosse, per quella solitudine del non appartenere a nessun gruppo, di essere un'outsider, e l'antipatica sensazione di essersi imposti con quelli che non mi volevano. Ho vinto le mie battaglie ma sono diventata un soldato, e l'andare in guerra non era mai stato il mio sogno. La discriminazione sessuale, la lotta per venire accettata come individuo a prescindere dalle pulsioni dell'altro sesso è stata e ancora è fonte di frustrazione immensa, ed è anche quello che mi sembra identifichi più di ogni altra cosa come individuo. Non ero nata maschio purtroppo, ho cercato di esserlo in tutti i modi, poi ho capito che non lo sarei mai stata ma che non avevo le stesse opportunità. E quindi ho fatto il possibile per non assoggettarmi alla ristrettezza di opzioni che mi si presentavano. Tutto qui.

giovedì 8 luglio 2010

DANSONS SOUS LA PLUIE

sono bellissimi, c'è un che di lirico nei loro movimenti, nella loro giovinezza e nel fatto che ballano come possono, dove possono, quando possono, e  si divertono con quello che hanno.



p.s.anche per il blog prima, andatelo a vedere sul sito altrimenti nella mail i video non compaiono....

BLU

blu come il nome dello Street Artist che mi piace tanto,


(ultimo video BIG BANG BIG BOOM)
 
blue come le mie lenti a contatto una volta che entrano nella bottiglietta




















blu come le 1000 bolle blu della canzone,

blu come il link dell'ultimo post di Zenzero,

blu come il lividi che uno si trova inaspettatamente sulle gambe

blu come le uova dei bluebirds 

giovedì 17 giugno 2010

IL POST DI GINGER

mi spiace ma questa glie la rubo proprio allo Zenzerino:


AI PREDATORI DELL'UTOPIA

Ai predatori
dell'utopia

dentro di me
sono morte molte tigri

quelle che sono rimaste
tuttavia
sono libere

[Lau Siqueira]

giovedì 10 giugno 2010

NON è LA MORTE MA LA VITA SPRECATA


i rigurgiti di Ginger su coloro che muoiono relativamente giovani riflette, come la sua metafora degli specchi, le mie elucubrazioni in merito che appunto sono apparse in sincronismo proprio in questi giorni. 

Da un'intervista con SONIA, La rivista di Psicoanalisi Dell'Arte Contemporanea in merito alla prossima inaugurazione della mostra IO. MI VEDO COSì che si terrà Sabato 12 al Centro italiano della Fotografia d'Autore di Bibbiena (AR) di cui vedete in anteprima mondiale la mia partecipazione:

Oak Street Reflections, Luglio 1987  copyright Niki Ghini 

SONIA: Ma senti, l'aria era un pò sconvolta, avevi finito di stirare??
L'ARTISTA: No sconvolta no, se uno si fa una foto in genere pensa all'aspetto tecnico e a come sta venendo, valuta l'immagine e non si mette certo a ridere... La stanza era il mio mondo, tutto quello che avevo in USA era lì dentro perchè il resto della casa (la stanza oltre alla tenda a destra) era condiviso con il mio roommate; il ferro da stiro doveva convivere con la roba fotografica, i libri, la TV, la musica, la roba da disegno, la carta che collezionavo, i pochi abiti che avevo, etc. Dietro, nel walk-in closet dove una volta c'era il Murphy's bed avevo la camera oscura, peccato non aver pensato di accenderne la luce rossa....
  
SONIA: E le macchinine sono di latta, giocattoli vecchi o altro?
L'ARTISTA: Le macchine sono reali e dietro alle macchine c'è il Panhandle, parte del Golden Gate Park. Quello che vedi e l'interno della stanza fotografato che si riflette sul vetro, ma la mente immagina che stiamo guardando da fuori una scena "in vetrina" e ora che me la fai analizzare razionalmente questa foto è ancora più ganza di quello che vedeva a primo acchito la parte emotiva e esteticamente selettiva della mia analisi....

SONIA: Pazzesca la cosa delle macchine: l'ho riguardata e continuano a sembrarmi giocattoli. Forte.

L'ARTISTA: Si forte, anch'io dapprima ci ho visto le macchinine come sul davanzale della finestra, è quello che da "sapore" all'immagine inizialmente. Poi se qualcuno ti stimola con una domanda appropriata, come hai fatto tu, riesci ad imbastire un sacco di cose in più sul perché e il percome di un gesto istintivo. Come diceva il mio maestro JOE , e parafraso - you ought to play stupid and learn your intentions from your work.

SONIA: Che effetto ti fa riguardare questa foto??
L'ARTISTA: Che effetto mi fa? Mi piace, era il mio mondo, la mia vita, erano tempi belli seppur duri, ero libera e giovane e facevo quello che volevo fare, con passione non con denaro perché di quello ne avevo poco. Guardo l'immagine con distacco ora perché non sono più io, ormai sono già un'altra.  E un record però che sono contenta di avere. La prova che era vero, ero lì una volta.
SONIA: Ti senti veramente un'altra?
L'ARTISTA: Non è che mi sento un'altra, so di esserlo per il contesto che mi circonda. Le varie "vite" vissute, i periodi diversi, i posti diversi, la gente diversa è come se fossero capitoli di un libro di racconti. Ne finisce uno e ne inizia un altro. Ho sempre pensato a piccole morti, perché per me la morte è solo un ennesimo cambiamento, e quindi tutte le fini della mia vita sono piccole morti. La vita di Firenze. La vita in USA, la vita Ad Arezzo, quella di Poppi. Archiviate e studiate come geroglifici antichi da cui si impara ma con distacco emotivo, sì. Non mi sento un altra nel senso di migliore, non c'è continuum nel processo di avanzamento nella mia storia ma la mente ha bisogno di prendere il fiato dalla confusione di tanti ricordi differenti che a volte ha difficoltà a localizzare. Vedo una persona che conosco di vista e mi domando a quale vita appartenga... 

Lavoro, scuola?
Usa Italia?
Firenze, Arezzo, Casentino? 
Arte, Rally, Viaggi?Musica?

Questo mi da un senso di confusione incredibile... -per non parlare della bipartizione linguistica della mia mente che è un capitolo a sé.... - ma anche la convinzione di essere cittadina del mondo, uno smacco alla provincialità di coloro che sanno di appartenere ad un tempo ed ad un luogo specifico. 

Non è la morte di per se che è tragica, è la vita che si è vissuta, se non la si è vissuta bene, che la rende tale.  

A life is a terrible thing to waste.

(strizzata d'occhio a Ginger per l'ispirazione del formato che non è plagiarismo bensì influenza - non quella da virus - ;-)
(doppia strizzata d'occhio a Sonia della omonima rivista ;-) ;-)
(la mostra  si apre Sabato 10 alle 18:00 e termina il 5 Settembre - per informazioni  qui e qui )

giovedì 3 giugno 2010

MUSICA, ARTE E SPORT - UN POST PER TUTTI I GUSTI

da ore sto caricando su YouTube la seconda parte del video che ho preso domenica al concerto dei Wilco all'Auditorium di Roma. Il concerto è stato bello ma non come quello visto a Firenze la  primavera scorsa, per lo meno per me. Non sono riuscita a "sentirlo" come ho sentito l'altro, con il corpo e non solo con le orecchie. Non so se sia una questione chimica, quello che hai mangiato la sera prima, o durante il giorno, che altera il tuo corpo in modo tale da farlo essere rilassato il giusto e recettivo in modo da permettergli di godere al massimo di una situazione. Io ho sempre avuto problemi in questo senso, forse perchè sono troppo nella mia testa e poco nel mio corpo. Forse arrivo con troppe aspettative.
Oppure è una questione dell'anima dei posti. Così come ci sono dei luoghi maledetti che attraggono o ispirano solo violenza, battaglie, assassinii, e brutture di ogni genere, ci sono anche posti che hanno un potere benefico, rasserenante, positivo. Forse io sono sensibile a questo, oppure inconsciamente "leggo" gli strumenti che creano l'atmosfera giusta: la luce, lo spazio, l'energia di un posto, e il risultato dello scan che faccio entrando in un posto è quello che mi permette di sentirmi in un modo o in un altro. Non vado volentieri al ristorante prerchè sono pochi i posti dove mi sento a mio agio. Se non ho luce naturale, se c'è la TV accesa, se sone in mezzo alla stanza etc, sono una palla, lo so.

L'Auditorium del Parco della Musica di Roma è una bellissima costruzione disegnata da Renzo Piano e la sala di Santa Cecilia (perchè dedicata ad una santa poi? Hanno usato i soldi della Chiesa?) è tecnicamente ben fatta e vanta un'acustica che prometteva molto bene per il concerto. Forse era troppo grande, oppure c'era troppa luce, troppo spesso la sala veniva illuminata a giorno e i faretti invece di puntare sulla band venivano rotati contro il pubblico abbagliandolo. Il suono era pulito ma non riusciva ad avvilupparmi. Ero ancora una volta "fuori" dall'azione, guardavo, sentivo ma non provavo la musica, il momento, dentro di me. Avrei voluto fosse più forte, sentirla più fisicamente con il corpo. Avrei voluto sentirmi una cosa sola con il resto del pubblico, un organismo complesso fatto di infinitesime particelle che però riescono a coesistere in armonia e provare all'unisono.  Come alla Pergola.

La band è sempre eccellente, tecnicamente non si può dire nulla, sono onesti e sinceri nel suonare ma si sentiva che sono stanchi. Sono mesi che sono in tournée in ogni parte del mondo e sebbene non gli potessi recriminare nulla, si sentiva un energia diversa priva del calore del primo concerto. Forse era inevitabile che rimanessi delusa visto che la volta scorsa era stato il concerto più bello che avessi visto.

Visto che eravamo a Roma poi siamo andati anche a vedere la mostra di Hopper, che chiude la prossima settimana, mostra  che volevo vedere già quando era a Milano ma poi ho scoperto che andava a Roma che è più vicina e facile per me da raggiungere. Quando siamo arrivati c'era una fila  di gente della madonna essendo Domenica, per cui incerta se saremmo riusciti ad entrare per tempo sono andata a sentire alla biglietteria se rientravamo nei tempi, entrando davanti a tutti quelli in fila in cerca di informazioni. Nessuno mi ha detto nulla quando sono passata per cui ho immaginato che fosse ok entrare per quelli che avevano fatto prevendita e ritiravano il loro biglietto e che la fila fosse per quelli che aspettavano il loro time slot per entrare. Diciamo che ho pensato poco e così metto le mani avanti. C'erano 3 persone davanti a me e presto la parte superiore della testa di una ragazza che sbucava sopra il monitor del pc, mi ha fatto cenno di avvicinarmi. Ho capito che tre biglietti costavano 70 euro ma lei mi ha corretto dicendo: Trenta, trenta Euro. Sollevata ho chiesto quando potessi entrare e lei ha detto perplessa: beh subito cosa ha preso i biglietti a fare sennò? Ho capito poi di aver fatto come tanti furbetti che detesto e di essere passata avanti a tutti quelli che in fila aspettavano di entrare per comprare il biglietto ed entrare!  La ragazza con tono di rimprovero mi ha detto di entrare veloce prima che la folla capisse, ma dovevo chiamare Rog e Pippi che mi raggiungessero, e per loro non è stato altrettanto facile passare avanti alla folla e all'impiegato del museo che regolava l'ingresso, il quale ovviamente si è sentito chiamato in causa a protestare perchè entravano quando non era il loro turno... Abbiamo sì beneficiato dalla mia tontarellaggine ma se consola qualcuno mi sono sentita in colpa per tutta il tempo che eravamo dentro alla galleria!

Sono stata contenta di vedere i lavori di Hopper dal vivo, sebbene la mostra fosse piena di "gimmicks", trovatelle divertenti per quelli a cui non basta l'arte da sola a rendere interessante un evento come quello. Ecco quindi le stazioni dove "fare il proprio Hopper da portare a casa" dove il visitatore poteva tracciare a matita uno degli sketch di Hopper proiettati su risme di carta, oppure la ricostruzione tridimensionale a grandezza d'uomo del dipinto "Nighthawks"


con tanto di Diner e clienti appollaiati sugli sgabelli. Come Andy Warhol, Hopper era prima un designer che un pittore, per cui le sue opere sono interessanti per certi aspetti ma non per altri. Se uno sente tutte le congetture e analisi che i critici amano riversare sui grandi, uno riesce ad andare oltre all'impatto dei colori e la chiarezza di immagine nei dipinti e afferrarne il contesto razionale. Emotivamente però si nota l'isolamento dei personaggi di Hopper, per cui sono i dipinti con persone che più mi hanno colpito, mentre gli acquarelli di paesaggi, e navi i dipinti architettonici e paesaggistici mi hanno lasciato indifferente, se pur molto piacevoli all'occhio. Sono rimasta incantata a contemplare la carne della spogliarellista di Girlie Show,

il cui effetto pittorico mi ricordava molto le mani della Sposa Ebrea di Rembrandt al Rijikmuseum di Amsterdam che da vicino sono una massa di colore senza sfumature o pennellate, ma che fatti due passi indietro rendono incredibilmente l'effetto di carne viva, pulsante. Nell'Hopper al contrario, il blu del velo che la spogliarellista sventola dietro alle spalle fa da sfondo e si riflette freddamente sul rosa livido della carne privandolo di vita, ma la definizione dei muscoli e della tridimensionalità delle forme mi hanno ipnotizzato per un pezzo nel tentativo di capire cosa conduceva a quell'effetto. Nella mostra il quadro, illuminato brillantemente, si stagliava nettamente dagli altri. Questo corpo nudo non era bello, (con quei seni che sembrano implants quando ancora la chirurgia estetica non esisteva) ma non riuscivo a distogliere lo sguardo.
Ho anche notato come ogni disegno preparatorio, dei nudi in particolare, fosse dedicato alla moglie, come se con la sua dedica si facesse perdonare di qualcosa.

Infine parliamo di sport. Ok non sono una sportiva per cui solo tangenzialmente ne posso parlare. Quello che volevo riportare è un articolo nel NYT, che racconta come ai French Open di Tennis ci sia una lavanderia che ogni giorno lava e asciuga, stira e riconsegna ai reciproci proprietari 4500 capi di indumenti. Mi immagino un tavolone dove questi sacchi vengono aperti, e il loro contenuto tirato fuori etichettato, e spedito alle varie altre stazioni della lavanderia. Mi immagino i lavoranti, uomini e donne dal Marocco, Algeria, Turchia, Senegal, Vietnam e Cambogia; gente di tutti i colori e forme che si chinano sul tavolo ritmicamente per estrarre dai sacchi gli indumenti umidi e fragranti di sudore degli ultimi match. Spero di cuore che ridano mentre commentano e fanno battute su come l'odore della roba delle sorelle Williams abbiano odori differenti fra loro e da quelle della Dementieva, supponendone le cause fra razza, alimentazione, stress e periodo ormonale; vorrei pensare che traggano diversi significati da dove sono macchiati di terra rossa i calzini di Federer, da quanto sono sgorate di sudore le magliette di Nadal, dal numero di mutande che cambia Almagro o dai segni di maggior frizione visibili sui calzoncini di Gabashvili: tutte informazioni che possono rendere ai lavoranti la giornata più scorrevole, più colorita e piacevole. Spero che  da tutto quello che traspare dagli indumenti spediti a pulire possano indovinare magari chi sarà quello che vincerà quel giorno, magari scommettendo e vincendo qualche soldo a fine giornata. Un breve e piacevole intervallo dalle interminabili pile di lenzuola e asciugamani degli alberghi, tovagliati e asciughini dei ristoranti che fanno parte del loro lavoro il resto dell'anno.

Ecco tutto e grazie a Wikipedia per i nomi di giocatori che non avrei saputo citare altrimenti.