Neil Amstrong 1969 © NASA |
ieri è
morto l’uomo del primo piccolo passo sulla luna che fu passo enorme per
l’umanità intera, Neil Armstrong. Ricorderò questa data come ricordo l’immagine
confusa sulla TV in bianco e nero e la voce del’annunciatore che annunciava
questa impensabile conquista.
Ricorderò questa data anche perché oggi è finalmente accaduto.
E’
iniziato con un sordo brontolio, l’occasionale botto da spostamento mobili al
piano di sopra che è usuale sentire nelle case condominiali. Ma la ripetitività
dei botti faceva presagire invece quello che mi rifiutavo di sperare fosse,
perché la luce fuori dalla finestra era brillante come da mesi a questa parte,
e no, non mi fregava più a sperare, caro mio. Il suono tentatore si ripeteva
sempre più ritmicamente, in un tambureggiare fitto e ostinato che si avvicinava
ma di questi ami da pesca avevo la bocca piena da tempo: un amo per ogni nuvola
che si era alzata all’orizzonte, seguita poi da altre, che nel loro aggregarsi
in un manto uniforme promettevano una precipitazione; un amo per ogni alito di
vento che le trasportava verso il centro della valle e sulle colline che da
mesi inaridivano e ingiallivano inesorabilmente. Gli alberi e i cespugli
rilasciavano da tempo una forfora di foglie morte ed era ancora piena estate.
Poi
il sole è sparito davvero, e affacciatami dalla finestra ho visto il fronte
nero pece che avanzava dal Fiorentino, minaccioso e dal rollio sonoro sempre
più forte, tanto da riverberare in eco nella stanza che a tratti pareva scossa
dal rumore. “Ah” –mi sono detta- “non ci credo se non tocco con mano caro mio, mi
hai beffato altre volte coprendomi il cielo di nuvole nere -una volta per ben tre
lunghi giorni- senza mollarmi una goccia di acqua che fosse una. L’umiliazione
provata per la credulonità da me dimostrata verso il tuo vuoto esibizionismo
brucia ancora nelle mie vene. Stavolta non mi freghi.”
E
sono tornata a leggere a letto, dicendomi che se succedeva bene, sennò non ci
avrei perso energia inutilmente. Da Maggio ero stata tradita da tutto: dalla
scienza delle previsioni meteorologiche, dalla superstizione dell’incrociare le
dita nel menzionare la pioggia, dallo sperare ferventemente e con tutto il
cuore che il giorno dopo arrivasse miracolosamente la precipitazione (ah,che
dolce termine!). Ora facevo finta di niente, esausta nell’animo, abbandonatami
alla ineluttabilità del fatto che non dipendeva da me se pioveva e quando, che era
una cosa COMPLETAMENTE fuori dal mio controllo. Ma cominciavo anche a
domandarmi se mai sarebbe arrivata, se fosse finita l’Era della Clorofilla e
fossimo entrati in quella desertica.
Via
gli oliveti e i boschi di faggi e castagni e querce, via le vigne e il vino e
l’olio, rimpiazzati da sterpaglia secca e sassi, terra polverosa e suolo
craquelé dall’arsura, dagli arbusti tentacolari e secchi che sono utili solo
per fare fuoco. Un’epoca di giornate che non finiscono mai, dalla luce che non
cambia mai di intensità ed è sempre brillantemente spietata; dalla monotonia
delle ore diurne passate a conservare energia e liquidi, mentre il lavoro da
fare si accatasta sempre più. Mi domandavo se le occasionali notte fredda che
ci facevano cercare il piumino in fondo al letto, non fosse i primi presagi di
un clima desertico, dove i picchi di dislivello termico fra giorno e notte sono
estremi. Mi dicevo che forse avremmo dovuto adattarci alla situazione, come si
sono adattati in certi posti dell’Africa, dove da tempo questo stato di cose è
la norma e quindi perché agitarsi tanto con futili speranze nell’assurdo
miracolo di un cambiamento atmosferico. Ma ci vuole tempo ad adattarsi e la
speranza è l’ultima a morire. Ma io facevo del mio meglio per sopprimerla.
Ma ora
arrivava a una brezza diversa sul letto, e notavo anche che per la prima volta da
non so quando, il mio setto nasale era pulito e privo dei cirripedi che erano
stati una costante al risveglio. Quindi dovevo ammetterlo, sì dovevo proprio ammetterlo,
c’era un lieve cambiamento nell’aria.
Quando
nella stanza è arrivato il riflesso di un baluginio esterno non ho saputo
resistere: per me lampi e i tuoni sono attraenti come i fuochi d’artificio per alcuni,
non riesco a far finta di nulla se il cielo promette un temporale come si deve.
Quindi ho messo fuori il capo dalla finestra e nel vento sostenuto che mi smuoveva
i capelli ho sentito il primo frusciare dell’acqua che cade. Quel sussurro
delle prime gocce sull’erba, la promessa di rinfresco che tanto anelavamo,
pareva essere in atto. Poi l’asfalto ha mostrato le prime macchie più scure,
che nel mio scetticismo ho supposto essere patacche di gomma da masticare
spiaccicata sull’asfalto, ma essendo il nostro l’asfalto di un parcheggio
interno dove non passano le orde di ragazzini sulla via della scuola come
quando eravamo in città, dovevo concludere che fossero davvero gocce di
pioggia. Le macchie più scure si sono infittite sempre più, fino a scurire
tutta la superficie visibile non erbosa e il suono dell’acqua è diventato
quello dello scroscio estivo, violento e inesorabile. In breve sotto casa c’era
uno strato di acqua ribollente che schiumava negli avvallamenti, e l’erba secca
del prato era felicemente percossa da questo flagello divino. A questo punto
l’acqua iniziava ad entrare in casa dalle finestre spalancate e ho fatto il
giro per chiuderle anche se non avrei voluto perché era pioggia, la tanto
anelata pioggia, la GLORIOSA pioggia, finalmente. Finalmente! Finalmente! Un
Kyrie Eleison di Finalmente!: era davvero vero che pioveva.
Guardando
fuori nel giardinetto retro casa ho visto che anche le tartarughe erano felici
e correvano nella pioggia, finalmente attive e vitali, dopo mesi di esistenza
imbalsamata per mancanza di verde dove nascondersi e foraggiarsi, i giorni
roventi passati nello stupore del sonno diurno interrotti a forza da noi che la
sera dovevamo scovarle dai loro nascondigli per nutrirle con lattuga e buccia
di cocomero perché si idratassero.
Ah la
pioggia estiva, che meraviglia, peccato non aver potuto annusare il suo odore
frammisto a polvere, per me L’odore con ELLE maiuscola dell’Estate, profumo che
adoro quanto lo zuccherino sentore dell’erba appena tagliata. Ma il mio naso,
già poco sensibile di suo, è completamente fuori uso dalla secchezza provata per
lunghi mesi, è ora tappato e sterile come le bottiglie di vino sigillate con la
cera, e incapace pertanto di godere degli stimoli odoriferi che sicuramente
stanno impazzendo qui fuori.
E
mentre finisce di piovere e gli ultimi rombi dei tuoni si allontanano verso gli
Appennini, ecco che la mia mente comincia a muoversi e visualizzare il futuro,
uscendo dalla paralisi che l’attanagliava da mesi, quando i giorni si
susseguivano uguali e torridi. Quando era sole sole sole sole sole sole e
ancora sole ogni giorno, ogni settimana – OGNI MESE! Quando le variazioni meteorologiche
erano ricordi dei tempi che furono, leggende che raccontano i vecchi risecchiti
sulle panchine, dopo che il sole cala e la gente esce finalmente di casa. La
mia mente aveva vissuto intrappolata in un presente immutabile e aveva smesso
di sperare, immaginare, sognare. Bisognava conservare l’energie per tenere duro
e sopportare ancora un altro giorno di sole, ancora un altro giorno di caldo,
ancora un altro giorno di secco per noi umani e per le bestie dei boschi che
calano a valle in cerca d’acqua. Cinghiali, cervi e piccoli mammiferi che
attraversano la strada dietro alle ultime case del paese e si foraggiano nei
giardini. Un ennesimo giorno di siccità per le piante che piano piano,
tutt’attorno si seccano e lentamente muoiono.
Ora potevo
immaginarmi che fra un po’ quando il sole sarebbe uscito nuovamente -non troppo
presto per favore- sarebbe stato un giorno NUOVO, lucido e pulito dalla pioggia
(azzo, ho dimenticato di mettere fuori la macchina perché si lavasse!) ricco di
una freschezza nuova, una promessa di autunno, di passeggiate nei boschi, nutrito
dall’energia che ritorna nel sangue, dalla rinascita dell’erba che dovrà essere
tagliata di nuovo, finalmente.
2 commenti:
In ritardo per cause tecniche, dico che hai abilmente descritto i tuoi ed i miei sentimenti 8e forse di molti altri) nei riguardi di quest'estate, che ora va meglio, ma non accenna a finire.
Ci siamo dovuti caricare giorno per giorno della fatica di tirare avanti, nella speranza che una qualunque Beatrice arrivasse a portare il refrigerio che i nomi maschili ci avevano impedito.
Tu dai un'immagine strepitosa che è la somma di quello che anche io sentivo: il conservare le forze per il nuovo giorno graticolare che sapevamo sarebbe stato il seguente e quello dopo e quello dopo ancora.
Io l'ho fatto fino a stamani, quando la collega, sulla porta aperta a Fiumicino mi ha fatto notare che non c'era più i calore irresistibile che avevamo lasciato la mattina prima..
E' stata dura. Ma forse per quest'anno, l'abbiamo sfangata.
come dici tu in modo diverso: se quest'inverno sento ancora qualcuno che non vede l'ora che arrivi l'estate, gli spezzo la schiena a bastonate! Primavera e autunnon ben accetti, anche se corti e confusi, ma l'estate da qualche tempo non la sopporto più. Ma grazie delle belle parole.
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