domenica 26 agosto 2012

PRECIPITAZIONI

 Neil Amstrong 1969 © NASA 
ieri è morto l’uomo del primo piccolo passo sulla luna che fu passo enorme per l’umanità intera, Neil Armstrong. Ricorderò questa data come ricordo l’immagine confusa sulla TV in bianco e nero e la voce del’annunciatore che annunciava questa impensabile conquista.
Ricorderò questa data anche perché oggi è finalmente accaduto.
E’ iniziato con un sordo brontolio, l’occasionale botto da spostamento mobili al piano di sopra che è usuale sentire nelle case condominiali. Ma la ripetitività dei botti faceva presagire invece quello che mi rifiutavo di sperare fosse, perché la luce fuori dalla finestra era brillante come da mesi a questa parte, e no, non mi fregava più a sperare, caro mio. Il suono tentatore si ripeteva sempre più ritmicamente, in un tambureggiare fitto e ostinato che si avvicinava ma di questi ami da pesca avevo la bocca piena da tempo: un amo per ogni nuvola che si era alzata all’orizzonte, seguita poi da altre, che nel loro aggregarsi in un manto uniforme promettevano una precipitazione; un amo per ogni alito di vento che le trasportava verso il centro della valle e sulle colline che da mesi inaridivano e ingiallivano inesorabilmente. Gli alberi e i cespugli rilasciavano da tempo una forfora di foglie morte ed era ancora piena estate.
Poi il sole è sparito davvero, e affacciatami dalla finestra ho visto il fronte nero pece che avanzava dal Fiorentino, minaccioso e dal rollio sonoro sempre più forte, tanto da riverberare in eco nella stanza che a tratti pareva scossa dal rumore. “Ah” –mi sono detta- “non ci credo se non tocco con mano caro mio, mi hai beffato altre volte coprendomi il cielo di nuvole nere -una volta per ben tre lunghi giorni- senza mollarmi una goccia di acqua che fosse una. L’umiliazione provata per la credulonità da me dimostrata verso il tuo vuoto esibizionismo brucia ancora nelle mie vene. Stavolta non mi freghi.”
E sono tornata a leggere a letto, dicendomi che se succedeva bene, sennò non ci avrei perso energia inutilmente. Da Maggio ero stata tradita da tutto: dalla scienza delle previsioni meteorologiche, dalla superstizione dell’incrociare le dita nel menzionare la pioggia, dallo sperare ferventemente e con tutto il cuore che il giorno dopo arrivasse miracolosamente la precipitazione (ah,che dolce termine!). Ora facevo finta di niente, esausta nell’animo, abbandonatami alla ineluttabilità del fatto che non dipendeva da me se pioveva e quando, che era una cosa COMPLETAMENTE fuori dal mio controllo. Ma cominciavo anche a domandarmi se mai sarebbe arrivata, se fosse finita l’Era della Clorofilla e fossimo entrati in quella desertica.
Via gli oliveti e i boschi di faggi e castagni e querce, via le vigne e il vino e l’olio, rimpiazzati da sterpaglia secca e sassi, terra polverosa e suolo craquelé dall’arsura, dagli arbusti tentacolari e secchi che sono utili solo per fare fuoco. Un’epoca di giornate che non finiscono mai, dalla luce che non cambia mai di intensità ed è sempre brillantemente spietata; dalla monotonia delle ore diurne passate a conservare energia e liquidi, mentre il lavoro da fare si accatasta sempre più. Mi domandavo se le occasionali notte fredda che ci facevano cercare il piumino in fondo al letto, non fosse i primi presagi di un clima desertico, dove i picchi di dislivello termico fra giorno e notte sono estremi. Mi dicevo che forse avremmo dovuto adattarci alla situazione, come si sono adattati in certi posti dell’Africa, dove da tempo questo stato di cose è la norma e quindi perché agitarsi tanto con futili speranze nell’assurdo miracolo di un cambiamento atmosferico. Ma ci vuole tempo ad adattarsi e la speranza è l’ultima a morire. Ma io facevo del mio meglio per sopprimerla.
Ma ora arrivava a una brezza diversa sul letto, e notavo anche che per la prima volta da non so quando, il mio setto nasale era pulito e privo dei cirripedi che erano stati una costante al risveglio. Quindi dovevo ammetterlo, sì dovevo proprio ammetterlo, c’era un lieve cambiamento nell’aria. 
Quando nella stanza è arrivato il riflesso di un baluginio esterno non ho saputo resistere: per me lampi e i tuoni sono attraenti come i fuochi d’artificio per alcuni, non riesco a far finta di nulla se il cielo promette un temporale come si deve. Quindi ho messo fuori il capo dalla finestra e nel vento sostenuto che mi smuoveva i capelli ho sentito il primo frusciare dell’acqua che cade. Quel sussurro delle prime gocce sull’erba, la promessa di rinfresco che tanto anelavamo, pareva essere in atto. Poi l’asfalto ha mostrato le prime macchie più scure, che nel mio scetticismo ho supposto essere patacche di gomma da masticare spiaccicata sull’asfalto, ma essendo il nostro l’asfalto di un parcheggio interno dove non passano le orde di ragazzini sulla via della scuola come quando eravamo in città, dovevo concludere che fossero davvero gocce di pioggia. Le macchie più scure si sono infittite sempre più, fino a scurire tutta la superficie visibile non erbosa e il suono dell’acqua è diventato quello dello scroscio estivo, violento e inesorabile. In breve sotto casa c’era uno strato di acqua ribollente che schiumava negli avvallamenti, e l’erba secca del prato era felicemente percossa da questo flagello divino. A questo punto l’acqua iniziava ad entrare in casa dalle finestre spalancate e ho fatto il giro per chiuderle anche se non avrei voluto perché era pioggia, la tanto anelata pioggia, la GLORIOSA pioggia, finalmente. Finalmente! Finalmente! Un Kyrie Eleison di Finalmente!: era davvero vero che pioveva.
Guardando fuori nel giardinetto retro casa ho visto che anche le tartarughe erano felici e correvano nella pioggia, finalmente attive e vitali, dopo mesi di esistenza imbalsamata per mancanza di verde dove nascondersi e foraggiarsi, i giorni roventi passati nello stupore del sonno diurno interrotti a forza da noi che la sera dovevamo scovarle dai loro nascondigli per nutrirle con lattuga e buccia di cocomero perché si idratassero.   
Ah la pioggia estiva, che meraviglia, peccato non aver potuto annusare il suo odore frammisto a polvere, per me L’odore con ELLE maiuscola dell’Estate, profumo che adoro quanto lo zuccherino sentore dell’erba appena tagliata. Ma il mio naso, già poco sensibile di suo, è completamente fuori uso dalla secchezza provata per lunghi mesi, è ora tappato e sterile come le bottiglie di vino sigillate con la cera, e incapace pertanto di godere degli stimoli odoriferi che sicuramente stanno impazzendo qui fuori.
E mentre finisce di piovere e gli ultimi rombi dei tuoni si allontanano verso gli Appennini, ecco che la mia mente comincia a muoversi e visualizzare il futuro, uscendo dalla paralisi che l’attanagliava da mesi, quando i giorni si susseguivano uguali e torridi. Quando era sole sole sole sole sole sole e ancora sole ogni giorno, ogni settimana – OGNI MESE! Quando le variazioni meteorologiche erano ricordi dei tempi che furono, leggende che raccontano i vecchi risecchiti sulle panchine, dopo che il sole cala e la gente esce finalmente di casa. La mia mente aveva vissuto intrappolata in un presente immutabile e aveva smesso di sperare, immaginare, sognare. Bisognava conservare l’energie per tenere duro e sopportare ancora un altro giorno di sole, ancora un altro giorno di caldo, ancora un altro giorno di secco per noi umani e per le bestie dei boschi che calano a valle in cerca d’acqua. Cinghiali, cervi e piccoli mammiferi che attraversano la strada dietro alle ultime case del paese e si foraggiano nei giardini. Un ennesimo giorno di siccità per le piante che piano piano, tutt’attorno si seccano e lentamente muoiono.
Ora potevo immaginarmi che fra un po’ quando il sole sarebbe uscito nuovamente -non troppo presto per favore- sarebbe stato un giorno NUOVO, lucido e pulito dalla pioggia (azzo, ho dimenticato di mettere fuori la macchina perché si lavasse!) ricco di una freschezza nuova, una promessa di autunno, di passeggiate nei boschi, nutrito dall’energia che ritorna nel sangue, dalla rinascita dell’erba che dovrà essere tagliata di nuovo, finalmente.

2 commenti:

Melinda ha detto...

In ritardo per cause tecniche, dico che hai abilmente descritto i tuoi ed i miei sentimenti 8e forse di molti altri) nei riguardi di quest'estate, che ora va meglio, ma non accenna a finire.
Ci siamo dovuti caricare giorno per giorno della fatica di tirare avanti, nella speranza che una qualunque Beatrice arrivasse a portare il refrigerio che i nomi maschili ci avevano impedito.
Tu dai un'immagine strepitosa che è la somma di quello che anche io sentivo: il conservare le forze per il nuovo giorno graticolare che sapevamo sarebbe stato il seguente e quello dopo e quello dopo ancora.
Io l'ho fatto fino a stamani, quando la collega, sulla porta aperta a Fiumicino mi ha fatto notare che non c'era più i calore irresistibile che avevamo lasciato la mattina prima..
E' stata dura. Ma forse per quest'anno, l'abbiamo sfangata.

ignominia ha detto...

come dici tu in modo diverso: se quest'inverno sento ancora qualcuno che non vede l'ora che arrivi l'estate, gli spezzo la schiena a bastonate! Primavera e autunnon ben accetti, anche se corti e confusi, ma l'estate da qualche tempo non la sopporto più. Ma grazie delle belle parole.