mercoledì 21 luglio 2010

IL BUDDHINO - OVVERO - UNA STORIA D'AMORE



 

questo è Hotai, l'immagine del Buddha Cinese che adoro. E' un tipo, lui: è un' elfo, una satirello, un saggio e un buffone, l'immagine impersonificata della gioia e del menimpippismo del mondo. La cosa buffa e sorpendente per me è che ogni volta che lo guardo ha un'espressione diversa, un essenza nuova da quella precedente.


oggi per esempio, l'ho preso per fargli nuove foto, perchè quelle che avevo mi convincevano poco. L'ho guardato in faccia e pareva guardarmi negli occhi con quel suo bagliore di malizia come per dirmi: -sapessi le cose che ho visto.... e nonostante tutto, che ridere!- mi sono sentita di condividere questa irrefrenabile allegria con lui, e gli ho detto: -Hotai come sei polveroso, vieni che ti spolvero - e visto che c'ero gli ho dato un bel bacio sulla crapa pelata perchè lo sento la personificazione di uno spirito che è vivo e quindi non mi sento scema a parlargli o baciarlo, come farei normalmente (mica sono così sonata, voglio dire!).
E guardalo lì... mi fa sentire meglio sapere che esiste. Specie mentre sto leggendo la storia del Buddha storico, Siddhartha Gautama  o anche Shakyamuni nel libro di Pankaj Mishra AN END TO SUFFERING - The Buddha in the World, che mi dice cose che un momento mi esaltano e un'altro mi deprimono , cangevoli  come è la natura delle emozioni dell'uomo, a conferma proprio dell'andamento fluttuante delle emozioni e dei pensieri che ci condannano all'infelicità.
Ma non voglio parlare di questo. Voglio rimanere con Hotai e il pensiero di come è entrato nella mia vita. E' stato amore a prima vista. Davvero. Eravamo responsabili della casa dei miei suoceri via per il weekend quando ci fu l'incendio di Oakland, nel 1991, e quando vedemmo la nuvola di fumo che si alzava nella direzione della loro casa corremmo a salvare il loro cane e le cose di valore. La corsia autostradale che portava sul luogo era chiusa al traffico mentre sull'altra c'era un esodo di macchine e camioncini carichi di gente e roba, ma conoscendo le vie laterali riuscimmo adentrare nei boschi della zona. Sembrava di essere sul set di Apocalypse Now con il fumo nero che copriva il sole rendendolo grande come una pallina da golf rossa e gli elicotteri che volavano bassi ingiungendoci con il megafono di abbandonare le case. Una volta dentro dovevamo decidere cosa prendere, tenedo d'occhio la cortina di fumo per poter scappare se il fuoco si avvicinava. C'erano molti oggetti orientali nella casa inclusa la collezione di Netsuke giapponesi che provvedemmo subito a mettere in macchina insieme al cane ed altra roba.  E lì guardandomi intorno freneticamente per valutare cosa prendere, ecco che ho visto Hotai che mi guardava, sereno e felice nonostante le circostanze, la cui presenza vibrante mi ha detto, semplicemente: PRENDIMI. E io mi sono avvicinata e l'ho guardato in faccia e ho saputo che non avrei potuto assolutamente lasciarlo - e mi sono innamorata perdutamente di lui. 

Ma al tempo non lo sapevo questo, capivo soltanto che non potevo lasciarlo.  Come anni dopo non potei lasciare la foto del monaco Tibetano Tenzin, i cui studi finii per sponsorizzare. (ma questa è un'altra storia.) E' dopo, quando ho dovuto renderlo ai proprietari, quando ogni volta che lo vedevo mi si alleggeriva il cuore, quando andavo a cercarlo per carezzargli il pancino bisbigliandogli paroline dolci, è allora che si è consolidato il mio amore. Quando cambiarono casa non lo vidi per un po', ma quando morì mio suocero,  la vedova mi regalò Hotai, che non amava e aveva relegato in garage (hoy! Ecco dov'era!)  ricordandosi che mi piaceva, e mi diede l'unica eredità a cui tenevo veramente.  Oh, come mi fece felice! Ricordo come avvolsi il suo contorno tondo e il suo piedistallo teneramente nei miei vestiti, per metterlo in valigia a portarlo a casa in Italia, con il timore assurdo che mi fermassero alla dogana e mi vietassero di portarlo via. Non ho mai fatto stimare il pezzo -per me ha valore la sua vitalità, la sua presenza- ma essendo senz'a dubbio un pezzo non comune -si vede dai dettagli che oggi giorno trovi solo in pezzi di antiquariato- non avendolo mai fatto valutare non so il valore che abbia realmente. Ma non è certo quello che da significato alla scultura.  

A volte mi domando chi l'avesse prima, che storia abbia. Immagino di aver dato ospitalità ad un genio di qualche casa, così come mia madre ha dato ospitalità al genio della famiglia Levi, personificatosi nel parafuoco di vetro colorato con l'insigna del nome e una brocca che versa dell'acqua, che abbiamo da sempre in casa, oggetto che lei trovò da qualche parte e che le fece provare il bisogno di proteggerlo per qualcuno che aveva dovuto abbandonarlo. Anni fa non so come ritrovò i discendenti di questi Levi a cui offrì di restituire il pezzo che sorprendentemente non erano interessati a riprendersi. 
Allo stesso modo io immagino la famiglia Cinese di Hotai: di un certo rango per possedere un tale oggetto, per ragioni politiche probabilmente dovette scappare dalla Cina rifugiandosi in America. Magari dovettero lavorare come coolies nella costruzione di strade e ferrovie del continente Americano ,oppure come cuochi o lavandai per i villaggi che nascevano come funghi intorno alla minere d'oro della Sierra Californiana, fino ad arrivare a San Francisco, dove andarono a vivere nelle avenues, vicino all'oceano, da dove guardare verso la Cina natale dall'altro lato del Pacifico. 
E proprio nelle avenues, sul bordo del Presidio e fra le comunità Cinese e Russa, stava il padre di mio suocero, che era medico e deve aver curato molti Cinesi e Giapponesi, persone che magari furoeno costrette a pagarlo con i pochi  oggetti di valore rimasti, mementi tramandati da generazioni e trasportati in un bandolo di seta per nasconderlo agli occhi di quelli che potevano approfittarsi del loro isolamento sociale.  E quindi i netsuke di avorio, di infinite forme e misure; i dipinti su pergamena da muro, con i finiali in legno e i pesi di ceramica per tenerli distesi;  la cassapanca di legno intagliata e laccata rossa che fu poi verniciata di bianco e finì per sparire, (dove sarà finita? a chi l'avrà venduta la vedova che non ama le cineserie?) i vasi, tappeti e chissà cos'altro che sono passati di mano e di cultura. E la storia continua...


Dovrò trovare un degno erede per Hotai, qualcuno che ne sappia apprezzare lo spirito. L'ho appena guardato qui accanto a me e mi è partito un sorriso di quelli che ti fanno muovere gli orecchi, un sorriso pieno e grato che parte dal cuore.

3 commenti:

giardigno65 ha detto...

non ti distrarre, ti sta già raccontando tutto. Il sorriso apre le orecchie...

Melinda ha detto...

Bellissimo post.
Conoscevo la storia di Hotai, ma forse mi era sfuggito l'innamoramento verso lo spiritello.
Brava. Tienitelo stretto, abbiamo tutti bisogno di qualcuno che ci riporta al centro.

ignominia ha detto...

ricordate questo motto : if you come to a fork in the road, take it!

volevo postare il commento di Alina alla foto di Hotai che mi ha dato il permesso, io l'ho trovato fantastico:
Etivien voglia diddigli 'Oh'tai! Oindoettuvai!?'
e lui ti risponde 'Eindoettuvvo'chevvada, untullosai che io sòvvolà peimmondo e l'universo intero, senza
bucicarmi daimmi' piedistallo??!!!!'

ecco.